Un giorno tutti quanti l’animali
sottomessi ar lavoro
decisero d’elegge un Presidente
che je guardasse l’interessi loro.
C’era la Società de li Majali,
la Società der Toro,
er Circolo der Basto e de la Soma,
la Lega indipennente
fra li Somari residenti a Roma;
eppoi la Fratellanza
de li Gatti soriani,de li Cani,
de li Cavalli senza vetturini,
la Lega fra le Vacche,
Bovi e affini…
Tutti pijorno parte a l’adunanza.
Un Somarello, che pe’ l’ambizzione
de fasse elegge s’era messo addosso
la pelle d’un leone,
disse: – Bestie elettore, io so’ commosso:
la civirtà, la libbertà, er progresso…
ecco er vero programma che’ ciò io,
ch’è l’istesso der popolo! Per cui
voterete compatti er nome mio. –
Defatti venne eletto propio lui.
Er Somaro, contento, fece un rajo,
e allora solo er popolo bestione
s’accorse de lo sbajo d’avé pijato un ciuccio p’un leone!
– Miffarolo! – Imbrojone! – Buvattaro!
– Ho pijato possesso:
– disse allora er Somaro – e nu’ la pianto
nemmanco se morite d’accidente.
Peggio pe’ voi che me ciavete messo!
Silenzio! e rispettate er Presidente!
Questa poesia è tratta da “ Favole rimodernate “ ( 1923) ed è stata composta dal grande poeta dialettale italiano Trilussa, pseudomino di Carlo Alberto Salustri ( 1871-1950).
La poesia trae ispirazione da “La voce dell’asino” ( Asinus et leo venantes) di Fedro, scrittore romano, nato intorno al 20 a.C, autore di celebri favole contenenti una morale.
Nella favola di Fedro un leone si serve dell’ambizione di un asino, dotato di raglio prodigioso, per spaventare gli altri animali, metterli in fuga e poterli cacciare più facilmente.
Alla fine però il leone, sazio di tanto cibo, lo deriderà:
[…]Qui postquam caede fessus est, asinum evocat,
iubetque vocem premere. Tune ille insolens
«Qualis videtur opera tibi vocis meae?»
«Insignis» inquit «sic ut, nisi nossem tuum
animum genusque, simili fugissem metu».
Stanco di strage infine chiamò l’asino
e gli ordinò di chiudere la bocca.
Il petulante chiese: «La mia voce,
che ne dici, ha servito?» Ed il leone:
«Straordinaria. Sarei scappato anch’io
se avessi ignorato il tuo cuore e la tua razza».
La morale inerente alla favola su citata è: “Chi poco vale, ma molto si vanta, inganna chi non sa, ma gli altri ridono”.
Fedro , secondo fonti accreditate, è stato uno schiavo familiaris, appartenente alla familia di Augusto, poi emancipato dallo stesso imperatore. Probabilmente studiò alla scuola di Verrio Flacco, tenuta nel tempio di Apollo sul Palatino dove studiavano anche i nipoti di Augusto, Gaio e Lucio, e di quest’ultimo divenne in seguito pedagogo. Pertanto per i suoi meriti si guadagnò la libertà. Come lui stesso ci narra nel Prologo delle Fabulae III, Seiano, ministro di Tiberio lo fece processare per vituperio verso i potenti, ma per sua fortuna l’accusa decadde con la caduta in disgrazia dello stesso Seiano e il nostro Fedro potè continuare a scrivere forse fino all’impero di Nerone ( 54-68). Come si vede, non è nè facile né salutare per uno spirito libero, fare satira contro il potere, mettendo in luce il sopruso verso i più deboli.
La novità degli scritti di Fedro, pur avendo come maestro Esopo, scrittore greco del VI sec. a.C. , da cui attinse le sue favole, sta nell’aver scelto di trasporle in versi senari e darle quella dignità letteraria che troveremo nella poesia in vernacolo romanesco di Trilussa.
“Aesopus auctor quam materiam repperit,
hanc ego polivi versibus senariis”
Tornando al nostro Trilussa e alla sua poesia “ l’elezzione der presidente”, grande è l’influenza delle favole di Esopo, a conferma di quanto la genialità di un autore possa influenzare nel tempo altri uomini di cultura. La forma data all’opera sarà diversa, ma l’intenzione ispiratrice resta immutata. Tra il 1885 e il 1899 sul giornale di Arnaldo Vassallo troviamo finalmente un Trilussa favolista.
A tal proposito, così si espresse Diego De Miranda, il redattore della rubrica Tra piume e strascichi, in cui la favola fu pubblicata:
«Favole antiche colla morale nuova. Trilussa, da qualche tempo, non pubblica sonetti: non li pubblica perché li studia. Si direbbe che, acquistando la coscienza della sua maturità intellettuale, il giovane scrittore romanesco senta il dovere di dare la giusta misura di sé, di ciò che può, della originalità del suo concepimento. E osserva e tenta di fare diversamente da quanto ha fatto finora. E ha avuto un’idea, fra l’altro, arguta e geniale: quella di rifare le favole antiche di Esopo per metterci la morale corrente.»
Una penna arguta, quella del Trilussa, già in giovane età, capace di sbeffeggiare il potere col garbo irridente di chi sa che l’abito può mutare, ma l’animo umano resta sempre uguale.
L’epilogo sarebbe sconfortante se non ci fosse la consolazione di saper aprire gli occhi sulla nudità invereconda del re. In questo caso, un somaro ambizzioso travestito da leone, che non vuol rinunciare alla sua carica di “er Presidente!”
Voglio concludere questo articolo con un aforisma di Giulio Andreotti, uomo politico presente ai vertici del potere per oltre un quarantennio e riconoscervi purtroppo un’amara verità.
“Il potere logora chi non ce l’ha”
Anna Bruna Gigliotti