Mer. Feb 19th, 2025

Fino a quando avrò pochi palmi della mia terra!
Fino a quando avrò un ulivo…
un limone…
un pozzo…un alberello di cactus!
Fino a quando avrò un ricordo,
una piccola biblioteca,
la foto di un nonno defunto… un muro!
Fino a quando nel mio paese ci saranno parole arabe…
e canti popolari!
Fino a quando ci saranno un manoscritto di poesie,
racconti di ‘Antara al-’Absi
e di guerre in terra romana e persiana!
Fino a quando avrò i miei occhi,
le mie labbra,

le mie mani!

Questi versi appartengono alla poesia “Fino a quando avrò” del poeta palestinese Samih al-Qasim, che fa parte delle “poesie della resistenza palestinese”. Le immagini evocate, appartenenti ad una quotidianità  che svela il  forte legame ai luoghi natii , rendono la poesia un canto di resistenza universale, dove l’orgoglio della propria identità, l’attaccamento alla terra, la tolleranza religiosa  hanno voce lirica. Infatti molte  delle sue opere sono state trasformate in canzoni rivoluzionarie di grande diffusione.

Alcuni elementi, quali l’ulivo, l’albero di limoni , sono presenti in molti componimenti della letteratura arabo-palestinese e simboleggiano la vita preziosa e profumata, ma soprattutto radicata nella terra.

A tal proposito vorrei citare il bellissimo film del regista israeliano Eran Riklis, “Il giardino di limoni” del 2008,  in cui una vedova palestinese cerca di difendere il proprio giardino dal vicino di casa, il ministro della difesa israeliano, che per sicurezza vuole abbattere gli alberi del suo limoneto. Il film narra una storia realmente accaduta in Cisgiordania, durante il lungo conflitto israelo-palestinese, quando l’armistizio del 1949 sancì La Green Line cioè la linea di demarcazione tra  Israele e Cisgiordania. La vicenda ebbe un drammatico seppur scontato epilogo: il ministro, che si chiamava Shaul Mozaf, ottenne dalla Corte Suprema Israeliana, a cui l’agricoltrice Salma Zidane  si era rivolta, di tagliare il limoneto, confinante con la sua abitazione.

Nel film, dopo l’amara sentenza, l’avvocato Ziad Daud, che rappresentava la parte lesa, cioè la vedova, proprietaria del giardino di limoni, pronunciò queste parole che suonano profetiche.

“ Allora signori, il lieto fine c’è soltanto nei film americani”

E questa cosa la dice lunga sugli eventi degli ultimi tempi.

Tornando al nostro poeta Samih al-Qasim, anche lui e la sua famiglia hanno dovuto lasciare la propria casa dopo il 1948. Il poeta era bambino allora, essendo nato l’11 maggio del 1939 nel villaggio di al-Zarqa in Transgiordania.

Il poeta stesso disse che il numero 48 divenne la sua data di nascita, in quanto ciò che lui ricordò da quel momento, erano  immagini di guerra. Lì ebbe inizio la Nakba cioè la catastrofe.

La famiglia al-Qasim si trasferì a Nazaret dove Samih concluse gli studi.

Col tempo diventò un giornalista apprezzato e aderì al Partito Comunista Israeliano e, a causa delle sue idee politiche, è stato imprigionato molte volte e allontanato dall’insegnamento.

Le sue numerose raccolte poetiche gli hanno meritato un posto di rilievo nella letteratura  arabo- palestinese e oggi viene ricordato come il poeta della resistenza.

Samih al- Qasim è morto nel 2014 dopo una lunga malattia.

Vorrei finire questo mio articolo con un’altra poesia di al Qasim, in cui il poeta esprime il suo desiderio di pace e, sebbene sia stata concepita in riferimento agli eventi del ‘48, tuttavia è rivolta spiritualmente a tutte le vittime della guerra.

Cammino fiero,
cammino a testa alta

Porto in mano un ramo d’ulivo
e il corpo sulle mie spalle

e cammino, e cammino

Il mio cuore è una luna rossa
il mio cuore è un giardino
pieno di bacche e basilico.

Le mie labbra sono un cielo che gronda a volte fuoco,
a volte amore

Porto in mano un ramo d’ulivo
e il corpo è sulle mie spalle
e cammino, e cammino
.

Anna Bruna Gigliotti

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