“Mi basta”
Mi basta morire sulla mia terra
essere sepolta in essa
sciogliermi e svanire nel suo suolo
e poi germogliare come un fiore
colto con tenerezza da un bimbo del mio paese.
Questi versi sono della poetessa palestinese Fadwa Tuqan ( 1° marzo 1917 – 12 dicembre 2003), considerata un’istituzione non solo per la Palestina, ma per tutto il mondo arabo tant’è che alla sua morte le autorità palestinesi si sono espresse con queste parole:
“Annunciamo la morte della grande poetessa della Palestina, un talento innovativo e originale, figlia di Nablus, montagna di fuoco; figlia della Palestina, educatrice, combattente per la giustizia, icona culturale, eccezionale figura della letteratura e vincitrice della medaglia della Palestina: la poetessa Fadwa Tuqan”.
Le sue innumerevoli raccolte di poesie in lingua araba sono state tradotte in molte lingue tra cui l’inglese, il francese e l’italiano. Vincitrice di molti premi, si è distinta per il suo carattere combattivo e fiero. Le sue uniche armi sono stati i suoi versi con cui ha difeso il suo martoriato Paese. Questa forza le è stata riconosciuta anche dal generale israeliano Moshè Dayan che nel 1959 definì le sue poesie come un’arma più pericolosa delle azioni dei fedayn.
Del resto sappiamo che la poesia rifiuta sempre di rassegnarsi all’orrore, resistendo ai fascismi, ai colonialismi e agli autoritarismi, pagando il suo impegno con la morte, l’esilio o il carcere. Ne sono esempi illustri Robert Desnos (1900-1945), morto in un campo di concentramento, Federico Garcia Lorca (1898-1936), giustiziato dalle forze franchiste, Nâzim Hikmet (1901-1963), che trascorse 12 anni nelle carceri turche.
La poesia politica della Tuqan diventata ancora più tagliente a partire dal 1967, dopo la Guerra dei Sei Giorni, era come lama infiammata di rabbia che diventava il grido collettivo di un intero popolo.
“ Sono morti in piedi
Illuminando il cammino scintillanti come
stelle
baciando le labbra della vita
Si sono alzati di fronte alla morte
Poi sono scomparsi nel sole”
La poetessa è nata a Nablus, in Cisgiordania, in una famiglia tradizionalista. La minore di sei sorelle e fratelli, pertanto non voluta in una famiglia già tanto numerosa. La Tusqan sentiva la sua famiglia come una prigione, un harem, da cui scappare, infatti il padre, dispotico e severo, non le permetteva di proseguire gli studi.
Unico faro suo fratello Ibrahim, già poeta patriottico e classicista, che le insegnò le regole della prosodia araba. La giovane Fadwa iniziò così i suoi primi passi nella poesia. Fu questa la chiave di svolta della sua emancipazione da un mondo arcaico e patriarcale.
La morte del padre nel 1948 rappresentò per lei l’uscita definitiva dell’ ”harem”.
Le sue poesie iniziarono a diventare conosciute e nel 1960 si trasferì in Inghilterra dove studiò lingua e letteratura inglese. Tornò in seguito a Nablus, cercando pace e tranquillità nella natura, progetto che durò poco perché la Guerra dei Sei Giorni la spinse ad occuparsi di politica e di pace.
Indomita fino alla fine, ha girato il mondo portando la voce della Palestina attraverso i suoi versi.
La poesia “ Mi basta” suona come un testamento poetico. In essa domina il suo grande amore per la sua Terra martoriata e il sogno di un mondo di pace.
La guerra e la violenza si contrappongono all’amore e alla libertà.
Il bambino, che coglie un fiore nato dalla terra in cui sono stati sepolti gli avi, è un’immagine potentissima del desiderio di appartenenza ai luoghi natii, nell’auspicio di non doversene mai più allontanare.
Mi basta rimanere
nell’abbraccio del mio paese
per stargli vicino, stretta, come una manciata
di polvere
ramoscello di prato
un fiore.
Anna Bruna Gigliotti