Gio. Nov 21st, 2024

Sono entrati nel seggio elettorale deserto in religioso silenzio, si reggevano a vicenda, piegati dal peso degli anni -tanti!- e da chissà quale immane fatica. Avevano deciso di recarsi alle urne, ancora una volta insieme, con il desiderio di attribuire retroattivamente un significato alla propria esistenza. 

Lo sguardo del vecchio era  luminoso, vivido, profondo, espressione della rassegnata speranza; sembrava volesse evocare i versi del Salmista: “Non mi rigettare nel tempo della vecchiaia/non mi abbandonare nell’affievolirsi delle mie forze.” 

Una giovane scrutatrice, alla sua prima esperienza, ha capito: è andata incontro a entrambi, ha offerto il suo braccio, ha provveduto agli adempimenti di rito, assecondando i gesti e i passi  lenti e incerti del vecchio, custode dei documenti di identità e delle rispettive tessere elettorali, ha accompagnato entrambi fino alla cabina, infine ha provveduto a ritirare le schede votate risparmiando ai due “grandi” elettori ulteriori, faticosi passi. E’ vero: tra gioventù e vecchiaia esiste una simmetria inversa.

“I vecchi amano la vita – scrive Aristotele- e tanto più in quanto sono al tramonto, poiché il loro desiderio riguarda un bene che ormai non c’è più, e si desidera soprattutto ciò di cui si è privi.”  Perché, dunque, mi sarei dovuto astenere dal voto, un “bene” da me non desiderato in questa tornata elettorale, considerati gli schieramenti politici in campo, in seguito a una testimonianza civica così vera e autentica? 

Se non mi fossi recato alle urne avrei negato la  memoria  condivisa con la “generazione silenziosa”,  artefice della rinascita del nostro Paese dopo la sciagurata parentesi del Ventennio: l’esempio vivente e virtuoso  dei vecchi e di tutti i “partigiani” delle vicende passate era lì, davanti a me!  

Infine, ho votato anch’io, convinto che il mio sarebbe stato un voto di pura testimonianza: la lista “Emilia-Romagna per la pace, l’ambiente e il lavoro” ha racimolato un pugno di voti:  amo alla follia le cause perse, ma giuste. 

“Essere nel giusto è troppo poco”, afferma lo scrutatore  Amerigo, comunista, protagonista del romanzo di Italo Calvino: di fronte a una discesa più radicale, negli inferi del Cottolengo, dove alberga una degradazione che non ha origine sociale e che nulla potrà sanare, sorge l’impasse definitiva per l’intellettuale progressista. In fondo, il degrado della classe politica, sia di destra sia di sinistra, è ancora oggi espressione degli inferi del Cottolegno! 

C’è di più: ho avuto la fortuna e il piacere di trascorrere le noiosissime giornate al seggio elettorale in un clima festoso, grazie a Lucia, Susan e Alessio: tre giovani  la cui presenza ha ribadito che, in ogni caso,  l’avvenire si apre al possibile e, nell’immaginazione, si popola di aspettative e di desideri: basta volerlo davvero. 

E cosa dire di Antonietta Acerenza, una cara amica, vulcanica e solare? E’ insostituibile. Marzia Morini, invece, ha dimostrato di avere una virtù che invidio: la pazienza di Giobbe. Compilare decine e decine di verbali, assolutamente cervellotici, è un atto di raro eroismo civico! 

Unica nota stonata: in un clima davvero festoso, campeggiava lo sguardo implacabile  del Leviatano: pene severe, arresto e carcere duro per  gli elettori indisciplinati. Ma…votare non è, soprattutto, una festa popolare, un  atto di libertà: cosa c’entra il terrorismo di Stato? 

                                                                         

Michele Lagano

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