Oggi si celebra il 35° anniversario della caduta del muro di Berlino. Questo evento fece nascere l’illusione che a breve l’uomo avrebbe raggiunto il suo apice di evoluzione sociale e che la storia non avrebbe avuto più nulla di eclatante da raccontare. Invece, con buona pace del noto politologo Francis Fukuyama, la storia, dopo la caduta del muro di Berlino ha aperto una nuova pagina che pone grossi interrogativi non solo sul futuro dell’umanità, ma mette anche a rischio la sopravvivenza dell’intero pianeta.
A tale proposito, propongo di leggere questo breve passaggio tratto dal Volume “La società dell’emergenza” redatto da Francesco Fantuzzi, in cui si possono trovare interessanti spunti di riflessione e materiale sul quale meditare.
Francesco Fantuzzi, animatore del gruppo civico Reggio Città Aperta, consigliere della cooperativa di finanza mutualistica e solidale Mag6, è promotore di iniziative di partecipazione civica culturale e ambientalista nel settore dei beni comuni.
(Antimo Pappadia Direttore responsabile)
Trentacinque anni fa cadeva il muro di Berlino e la contrapposizione tra i due blocchi. Un evento salutato con grandi speranze, definito come “la fine della storia”, che la storia stessa ha tuttavia amaramente confutato. Invece di portare benessere e pace perenne, il crollo del muro e il mondo unipolare hanno generato un contesto sempre più diseguale e insicuro, La società dell’emergenza, dove la guerra è ormai l’unico strumento per la risoluzione dei conflitti. Guerre vere, guerre per procura, asimmetriche, a pezzi etniche, energetiche, religiose, il costante bisogno di polarizzare i rapporti e di un nemico attorno al quale coagulare una società occidentale in completa crisi non solo economica, ma anche sociale e valoriale. Un nemico visibile che di volta in volta si incarna, oggi in chi esprime un legittimo dissenso ed è esposto alla pubblica gogna. Quanti muri dovrebbero ancora cadere, con buona pace di speculatori, corruttori, compagnie petrolifere e farmaceutiche, mercanti e produttori di armi. Quante riflessioni dovremmo attuare su un capitalismo sempre più insaziabile e spietato, in assenza di competitori, con la povertà economica e culturale che produce e con chi non ne accetta gli effetti.
Francesco Fantuzzi