Ho meditato a lungo se rendere pubblico questo intervento, prevedendo qualche reazione negativa e il rischio di avviare il consueto dibattito bipolare da tastiera. Ma questo allarme meteo con relativa chiusura delle scuole rappresenta, almeno ritengo, un altro eclatante esempio delle tesi del mio saggio La società dell’emergenza: il settore pubblico ha totalmente abdicato da tempo, tra le tante aree abbandonate e regalate al privato, al proprio ruolo di gestione, tutela e manutenzione del territorio. Il mio riferimento non è tuttavia tanto alla spesso evocata e non disposta pulizia degli argini, quanto al costante e inarrestabile consumo del suolo per motivi produttivi e abitativi, che è la prima causa di pericolo in caso di piogge più abbondanti della media. Non a caso, la Romagna è una delle aree più cementificate d’Italia e a tale sciagurata pratica neoliberista ha pagato un prezzo altissimo. Il cambiamento climatico è reale, ma invocarlo genericamente in casi come questo rischia di concepire il consueto mantra “tutti responsabili, nessun responsabile”, mentre nel caso del consumo di suolo questi sono palesi: gli amministratori locali. Lasciamo stare infine, per pietà, istrici e nutrie, che nel mio saggio definisco i runner dell’alluvione. Quella di ieri sarà stata certamente una misura prudente tesa a evitare danni maggiori, e un giorno a casa non ha mai fatto male a nessuno, ma un ente pubblico che non è in grado di mantenere le scuole aperte, adducendo motivi emergenziali, ha perso e con esso soprattutto noi cittadine e cittadini. Dallo Stato in perenne emergenza allo stato di emergenza come prassi di governo, beninteso anche quando l’emergenza è reale.
(Tratto dal libro “La società dell’emergenza” di Francesco Fantuzzi)
(Nella foto l’autore)