La lettura è un grande piacere della solitudine. Il momento in cui sono diventata una lettrice è stato quando ho scoperto il piacere della solitudine, del silenzio.
Chi non sa stare solo non ama leggere e chi ama leggere sa stare solo. Penso che chi non legge si perda qualcosa, ma quanto sia grande questo qualcosa e importante sta al singolo, nel caso, capirlo.
Sul mio comodino un libro, “Il deserto Dei Tartari” di Dino Buzzati,
che racconta un po’ della mia vita che è stata, e anche un po’ della mia vita che sempre sarà.
L’ho letto quando avevo circa trent’anni e da quando l’ho terminato ho avuto ben chiaro che a quelle pagine avrei dovuto ritornare più e più volte, perché quelle pagine mi aiutano a ritrovare la via.
Il deserto dei Tartari per chi non lo avesse letto, racconta la storia di Giovanni Drogo, un giovane ufficiale assegnato alla Fortezza Bastiani, a vigilare sul confine e impedire l’avanzata dei nemici.
Drogo ha le aspettative che hanno tutte le persone di fronte a un incarico importante, avuta l’occasione che attendeva, non desidera altro che dimostrare il proprio valore.
La Fortezza, però, non rappresenta più un luogo strategico, un teatro di guerra, è ormai un posto tranquillo e quasi abbandonato da cui si domina il Deserto dei Tartari. Nonostante le aspettative tradite, Giovanni Drogo giorno dopo giorno si abitua alla vita nella Fortezza, ai ritmi e alle abitudini, fino a far diventare quella realtà per nulla desiderata, una realtà accettabile; magari prima o poi arriveranno dei nemici da combattere, chissà.
La Fortezza è un posto conosciuto, è casa: e come ogni casa è tanto conforto quanto prigione. Non è mancanza di coraggio quella di Drogo, affronterebbe qualsiasi pericolo e rischierebbe la vita se servisse, è incapacità di muovere un passo per allontanarsi dal conosciuto.
Uno dei motivi per cui questo romanzo mi è piaciuto così tanto è la struggente malinconia di cui è pervaso.
Il fatto che una tale atmosfera sia riuscita ad emergere da una scrittura tanto diretta e lineare è un vero miracolo, di quelli che solo i grandi autori riescono a compiere. Una sensazione, un’atmosfera, uno stato d’animo che non dimenticherò più. Sicuramente si è già detto e scritto tutto sul senso metaforico di questo romanzo: la ricerca di un senso nella vita, la vita come costante attesa, la vanità dell’attesa, e le continue illusioni e disillusioni, e soprattutto, l’immensa solitudine dell’uomo.
Io so di essere a volte un po’ come Giovanni Drogo, non abbandono facilmente “la Fortezza” e spero che le cose cambino mentre io sto ferma, affronto qualsiasi cosa ma faccio fatica ad allontanarmi da consuetudini e calore.
Se avete tempo e voglia, e siete un po’ Giovanni Drogo anche voi, leggete Il deserto dei Tartari, e tenetelo sempre su una mensola a portata di mano.
Buona vita a tutti fuori dalla Fortezza.
Monica Longo