Gio. Nov 21st, 2024

La mia casetta estiva è situata lungo il corso principale del mio paesello d’origine. In un fazzoletto di terra sono concentrate le attività commerciali tipiche dei piccoli borghi: edicola, pizzeria, bar, sportello bancario, fruttivendolo, tabaccheria…

Tutte le strade conducono al mio punto di osservazione privilegiato: un ampio balcone panoramico, accarezzato da una piacevole brezza serale. Quale migliore rifugio, magari dopo una lunga giornata trascorsa a rosolare sotto il solleone?

Cosi, dopo il tramonto, “spaparanzato” sulla sdraio, mi capita sempre più spesso di ritrovarmi nel mio personale “Sabato del villaggio”, luogo ideale di inaspettate riconnessioni sentimentali.

In pratica, ogni qualvolta un volto noto attraversa il mio campo visivo, sento il bisogno vitale di collocare quel volto in un contesto familiare a me noto: ricompongo genealogie, contesti e quadri familiari, stirpe di appartenenza, nomignolo di ognuno. Infine, tutto è chiaro.

C’è di più: nel momento in cui, in un gioco di specchi, vedo e sono visto, con estrema naturalezza il mio braccio si solleva in segno di saluto.

In genere, dopo una breve esitazione, il saluto è ricambiato: ri-conoscere per riconoscersi, a dispetto della distanza e del tempo è un reciproco attestato di stima.

“Vi è nella sete di stima – scrive Ricoeur – un desiderio di esistere non attraverso l’affermazione vitale di se stessi, ma attraverso la grazia del riconoscimento altrui. Vi è tra questa stima e la posizione egoistica e solipsistica della vita, tutta la distanza che c’è tra il semplice desiderio e ciò che la Fenomenologia dello Spirito chiama il desiderio del desiderio. “

 Desiderio del desiderio, è da intendere nel mio personale “Sabato del villaggio “, come desiderio di un vecchio amico che sia portatore di un medesimo desiderio di riconoscimento: “ti ricordi di me? Ecco, ti sto salutando. Ci siamo persi di vista, ma oggi ci riconosciamo, vero? Raccontami di te. Raccontiamoci.”

Ci illudiamo di poter vivere la nostra vita in uno spazio galileiano: gioco di forze, dove tutte le traiettorie sono uguali; dove la traiettoria circolare è pari alla rettilinea. Rapporti misurabili, spinte e resistenze, antitesi, armonia, equilibrio.

 Un mondo sottratto alla condivisione delle emozioni perciò rassicurante: ma una sdraio, un balcone e la memoria ribadiscono che dovremmo permettere anche alle persone che ci circondano di scrivere la nostra biografia.

Vivo nella civilissima Emilia Romagna, in una dimensione dove ogni volto è amorfo, ogni esistenza è anonima. Nascita, vita e morte ci accompagnano in un eterno ritorno, ma una città che non sia in grado di farci assaporare la gioia di ogni nascita con la stessa intensità con la quale elaboriamo un doloroso lutto, è una città di sopravvissuti.

Le vite sospese sono caratteristiche di una città che non sia capace di favorire le politiche dell’amicizia e delle connessioni sentimentali. Vite disconnesse, appunto.

Connessioni e disconnessioni sentimentali, ovvero:  ”Chi sono io. Preferisco pensare di essere Super topolino e di volare nell’ aria e quelle cose lì. Ora però…mi fanno domande – cos’è che sogno e cos’è che penso di mia madre e mio padre e quelle cose lì. Allora cominci a pensare a quelle cose lì e ti vengono i sudori come a un drogato… Allora -ti chiedi perché io devo essere io- com’è che sono qui e non in qualche altra parte- e finisci che hai paura come se cammini di notte in una via vuota. Tanta paura che ti esce dalle orecchie…” (Wallen Miller, The Cool World)

Mai sottovalutare un balcone con una sdraio e una piacevole brezza serale, in una notte di mezza estate.

Michele Lagano

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