Sab. Set 14th, 2024

La carriera di Jackson Pollock, il principale rappresentante dell’espressionismo astratto americano, è paragonabile alla lancetta di un contachilometri, sempre di corsa, un motore su di giri, come preso in un vortice, in un turbine di colori, così la sua vita si consumava velocemente. Nell’ottobre del 2006 la sua opera <<N.5, 1948>> è stata acquistata dall’imprenditore messicano David Martinez per la sorprendente cifra di 140 milioni di dollari, è in assoluto il prezzo più alto di sempre per un’opera d’arte. L’artista americano, riservato e schivo, non lo avrebbe mai immaginato, quando ancora in salute lavorava alle sue immense tele. Era un uomo solo che cercava di sfuggire a se stesso, divorato dall’alcol che lo costrinse a vari ricoveri per disintossicarsi e dalla depressione che mai lo lasciò, Unica compagna fu Lee Krasner che sposò nel 1945; lei gli dedicò tutta la sua devozione e la sua nascente carriera d’artista, e alla fine, quando lo lasciò a malincuore, gli sembrò di uscire da un incubo.

Alla base di tutto c’è sempre l’uomo, questa figura solitaria che sembra danzare intorno alla tela, l’uomo da solo con se stesso.

   Come uno spettro scuro, un uomo stava in piedi di fronte ad una superficie grigia, vuota e nebulosa, appoggiata alla parete di una stanza. Le braccia pendevano abbandonate, lo sguardo scrutava con frenesia quella superficie. Da più di sei mesi quest’uomo combatteva con una tela alta due metri e mezzo e larga più di sei, destinata all’atrio della casa di una ricca collezionista. L’enorme tela si trovava nell’appartamento del pittore, a New York, e per ospitarla era stato necessario abbattere una parete. Anche il Natale 1943 era ormai trascorso e non era possibile rimandare ancora la realizzazione dell’opera. La collezionista aveva organizzato una festa e per l’occasione il quadro doveva essere finito ad ogni costo. Perciò l’uomo lavorò per un intero giorno e un’intera notte, in uno stato di febbrile agitazione, e realizzò un’opera che sarà considerata uno dei punti di svolta fondamentali nell’arte del 20° secolo: <<Mural>>.

Non vi sono figure, l’occhio scorre avanti e indietro cercando un appoggio nell’intreccio di linee e di colori, della figura si è persa ogni traccia. Linnee nere, accentuate da tocchi di giallo e verde, scorrono l’una nell’altra senza che le forme acquisiscano un vero contorno né si fondano del tutto. <<Affascinante come gli occhi dell’inferno>> fu il commento dell’autore. Nessuno dei quadri precedenti del pittore americano può essere considerato precorritore di quest’opera, realizzata su incarico della collezionista Peggy Guggenheime. Fu la svolta nella carriera di Pollock, ebbe la fama, il successo, la fine della miseria. Creò una nuova tecnica: il dripping, cioè il colore sgocciolato sulla tela.

 Ma durò una sola, breve, intensa stagione. Pochi anni dopo la fortuna tornò a chiedere il suo salatissimo conto alla vita dell’artista. Mentre la sua produttività crollava, Pollock in frequente stato di ubriachezza collezionava incidenti d’auto e si affidava più volte, disperatamente, a provvedimenti terapeutici. La crisi del suo matrimonio con Lee Krasner lo spingeva alla fuga in una serie di relazioni extraconiugali, la sua fama di artista, invece, continuava a crescere. Ormai non dipingeva più da quasi due anni ed era molto ingrassato, quando, nel luglio del 1956, completamente ubriaco, salì alla guida della sua macchina e portò agli estremi la lancetta del contachilometri per l’ultima volta, seguì un forte schianto e la morte a soli 44 anni.

Antonio Iaccio

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