Gio. Nov 21st, 2024

Come è la generazione delle foglie, così è anche quella degli uomini. Le foglie, alcune il vento ne versa a terra, altre il bosco in rigoglio ne genera, quando giunge la stagione della primavera: così una generazione di uomini nasce, un’altra s’estingue.
(Omero, Iliade)

Questa su citata sembrerebbe quasi un aforismo Zen. Parole sagge contenute in frasi brevi che illuminano.

“ Tutto ciò che ha inizio, ha una fine”, diceva Buddha.

Solo che le ha scritte Omero che di filosofia zen non credo ne avesse mai sentito parlare. Anche perché, sebbene il suo inizio in Giappone risalga al IX sec., la sua diffusione in occidente avviene sul finire del XIX sec. Pertanto si tratta solo di azzardate comparazioni.

Non è mia intenzione addentrarmi in territorio Zen di cui davvero conosco poco, se  non il suo meraviglioso germogliare nell’anima, per cui mi voglio limitare ad alcune riflessioni che, come è mio solito, mi porteranno altrove.

Allora, tornando al nostro Omero, quella su riportata, in una libera versione, appartiene ad un frammento tratto dal libro VI dell’Iliade. Si tratta di uno scambio di battute tra due guerrieri prima del combattimento: Glauco e Diomede. Il mito che parla di loro, per i cultori della cultura greca, è noto. Tuttavia vale la pena ricordarlo per diffondere la grandezza di un mondo di cui siamo, se pur indegnamente, eredi.

Per cominciare, sappiamo che per gli antichi greci grande valore aveva l’ospitalità.

Gli stranieri erano sacri e protetti da Zeus e infatti era un dovere ospitare qualcuno e offrirgli doni prima ancora di conoscere la sua identità.

Questo primo incontro tra ospite e ospitato, instaurava un forte legame che si tramandava di generazione in generazione, fino a sfociare in vere e propri patti futuri, come unioni matrimoniali o alleanze militari.

Il mondo, ai tempi di cui narra Omero, era un mondo guerriero e arcaico che aveva bisogno di legami forti che garantissero sostegno in caso di pericolo.

Pertanto prima del combattimento i due guerrieri devono riconoscersi  per garantirsi, in caso di morte di uno dei due sfidanti, un’adeguata sepoltura e di conseguenza l’immortalità dell’anima.

Glauco e Diomede dunque devono riconoscersi, anche perché è più glorioso combattere con un nemico di ugual valore.

“Magnanimo figlio di Tideo, perché domandi della mia stirpe?

Come è la stirpe delle foglie, così quella degli uomini […]”

Dirà così il figlio di Ippoloco, Glauco, alleato con i troiani, a Diomede, il più forte guerriero acheo nella guerra di Troia, dopo Achille e Telamonio.

I due, dopo uno scambio di battute si riconosceranno legati da vincoli antichi di ospitalità, e decideranno di non sfidarsi, anzi si scambiano le armi con una stretta di mano.

Per chiarire meglio, il riferimento alle foglie che cadono dall’albero, mentre altre poi prendono il loro posto, va oltre il senso della caducità della vita, oltre il concetto zen del superameno delle passioni e la rinuncia degli affanni in nome di una vita illuminata e ascetica. Qui si tratta di rispetto di tradizioni e valori.

Il legame sancito con gli antenati, va oltre il desiderio di gloria personale.

Ogni gesto parla: lo scambio delle armi rinnova il vincolo amicale, la stretta di mano dà forza al dovere rituale.

Le foglie sono così piene di valore simbolico, che se ne fa grande uso in letteratura, anche perché è il nostro mondo antico che ci parla. Un mondo in cui con similitudini e metafore si raccontava, tracciava, insegnava un  cammino. Si costruiva un essere morale, degno di essere chiamato umano.

Anche Dante, nel III Canto dell’Inferno, usa l’immagine potente delle foglie che cadono, quasi strappate (ohi, che immagine dolorosa!), quando ci narra della moltitudine di dannati gettati nella barca di Caronte.

Come d’autunno si levan le foglie

L’una appresso de l’altra, fin che ‘l ramo

Vede a la terra tutte le sue spoglie,

similmente il mal seme d’Adamo

gittansi di quel lito ad una ad una

per cenni come augel per suo richiamo.

Facendo un salto di secoli, troviamo una delle più potenti e suggestive immagini che mai Poesia ci abbia regalato. E qui rabbrividisco davanti ai massacri delle guerre di tutti i tempi.

 (Giuseppe Ungaretti: Soldati)

Si sta come

D’autunno

Sugli alberi

Le foglie

Qui le foglie non ci parlano di precarietà del vivere, né di accettazione del nostro destino. Ci restituiscono il dolore di chi attende che tutto inesorabilmente si compia.

In questo terribile vuoto di attesa oggi sospendiamo i nostri destini. Oggi il nostro sguardo moderno supera e avvicina confini. Trema, solidarizza, spera.

Come foglie restiamo. In una dannata, dolorosa resilienza.

Anna Bruna Gigliotti

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