“Sembra che sia l’amicizia a tenere insieme le città, e che i legislatori badino più a lei che alla giustizia. Pare che la concordia sia qualcosa di simile all’amicizia: ed è proprio questa che prendono di mira, cercano soprattutto di scacciare la discordia, che è una specie di inimicizia.” (Aristotele, Etica nicomachea)
“E’ evidente che lo Stato esiste per natura e che l’uomo è per natura animale politico… e più di tutte le api e di ogni animale vivente in società. Perché la natura nulla fa invano: ora l’uomo, solo fra gli animali, ha il logos, la ragione. E il linguaggio vale a mostrare l’utile e il dannoso, sicché anche il giusto e l’ingiusto, perché questo è proprio degli uomini rispetto agli altri animali: l’aver egli solo il senso del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto.” (Aristotele, Politica 1, I).
Confesso che, durante la recente campagna elettorale per le comunali, spesso sono riaffiorate alla memoria alcune pagine dell’Etica nicomachea e della Politica di Aristotele.
Amicizia (Il termine greco philía ha un valore semantico più estensivo dell’italiano ‘amicizia’) e politica, in Aristotele, sono complementari: l’uomo è per natura un animale politico (politikòn zôon) e, in quanto tale, portato a unirsi ai propri simili per formare delle comunità.
Le virtù private assumono un valore etico fondamentale se ben esercitare nella sfera pubblica. Le virtù etiche, in definitiva, sono altresì necessarie alla “concordia”, cioè alla scelta deliberata di vivere bene insieme, in vista di un fine comune, che non è l’utile particolare, ma l’utilità generale.
Ogni formazione politica agisce – o presume di agire- per il bene della polis. E’ una costante di tutte le competizioni elettorali: ognuno è convinto di incarnare le più nobili virtù etiche e politiche, soprattutto in nome dell’amicizia personale verso l’amico, magari candidato alla carica di sindaco.
Nel corso della recente campagna elettorale per le comunali ho scoperto che, in fondo, siamo tutti aristotelici: parecchie candidature della mia lista sono scaturite da profondi sentimenti di amicizia verso l’aspirante primo cittadino.
Nulla di male, per carità! Anzi, si è trattato di un gesto nobile e fortemente simbolico che rende onore alle parti in causa.
Tuttavia, le candidature politiche “per amicizia”, comportano necessariamente delle ricadute pratiche in termini di competizione e di consenso elettorale: il fine è il bene comune che va comunque messo in pratica, realizzato, costruito, mattone dopo mattone.
Senza il consenso elettorale, ovviamente, viene meno non tanto l’amicizia personale, quanto il fine ultimo.
Entra in gioco, a questo punto, il principio di responsabilità. Meglio dell’impegno responsabile, in nome dell’amicizia politica.
La candidatura politica “per amicizia”, implica una costante e rigorosa responsabilità da parte di tutti i suoi contraenti, che devono agire fattivamente per il bene reciproco e non limitarsi a una generica benevolenza.
La reciproca benevolenza non è un buon viatico nella battaglia elettorale (di una battaglia si tratta!)
Insomma, alla fine della vendemmia i voti si contano, non si pesano.
Di conseguenza, in realtà, prevale la famosa sentenza “O miei amici, non c’è nessun amico”, detto che Aristotele aveva altrettanto familiare (Montaigne, Dell’amicizia).
Resta da sciogliere un dilemma: in politica, le candidature “per amicizia”, sono davvero utili alla causa?
Ciò detto, mi congedo dai miei detrattori politici (tantissimi) con spirito nietzschiano: la buona amicizia nasce dalla sproporzione. Altrimenti è finzione.
Michele Lagano