Nell’ozio estivo ho rivisto: “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto”, film capolavoro di Lina Wertmüller, con Mariangela Melato e Giancarlo Giannini.
La prima conferma che ho avuto, rivedendo il film dopo un quarto di secolo, riguarda la conquista dell’immortalità. Lina Wertmüller è deceduta il 9 dicembre 2021, alla veneranda età di 93 anni; Mariangela Melato è scomparsa l’11 gennaio 2013, appena settantaduenne.
Ora, il fatto di dover necessariamente morire, rischia di togliere valore e significato alle nostre esistenze. Qual è il valore di qualcosa che è destinato a scomparire senza lasciare traccia di sé?
E’ una questione che ha assillato – e assilla – teologi e filosofi, dalla notte dei tempi.
La risposta di Aristotele a questo dilemma, per quanto mi riguarda, resta ancora valida. Tutto in questo mondo meraviglioso ha un senso e un posto, un significato e un valore, perché tutto contribuisce alla bellezza dell’insieme. Dipende da noi saper cogliere l’armonia del mondo, attraverso la conoscenza.
Credo che Lina Wertmüller e Mariangela Melato, si siano sottratte alla morte perché la loro bellezza artistica è immortale. Gli artisti, in qualche modo, sono cari agli dei!
La seconda considerazione, sorta spontanea durante la visione del film, è politica: il Sessantotto, in Italia, lo ha realizzato Berlusconi! “Se il Sessantotto invocava l’immaginazione del potere, Mediaset ha trasformato questo slogan in realtà. La strepitosa macchina del consenso offerta a Forza Italia dall’irresponsabilità della sinistra, ha vinto […] siamo passati dai Sogni del materialismo storico, all’Incubo dell’illusionismo catodico meglio ancora, dalle pie illusioni del Materialismo, alla cruda materialità dell’illusionismo” (Valerio Magrelli, 2014)
Vero. Tant’è che, oggi, i dialoghi -stupendi- del film, incentrati sulla lotta di classe, sul conflitto tra proletariato e borghesia, a distanza di 50 anni dall’uscita del film, appaiono anacronistici. Viviamo in un presente senza passato. (Ironia della sorte: dopo i titoli di coda, è partito un film con Jerry Calà! E’ terribile)
Terza e ultima considerazione di tipo antropologico. Ciò che vive di quel film-capolavoro è la figura tragica di Gennarino Carunchio, magistralmente interpretato da Giancarlo Giannini.
Le scene finali sono strazianti. La signora Raffaella Pavone Lanzetti (Mariangela Melato), decide di fare ritorno a casa, nel rassicurante mondo della Milano bene.
Mentre l’elicottero della signora Raffaella Pavone Lanzetti si alza in volo, al povero Gennarino non resta che il turpiloquio: “Fitusa, buttana industriale! Accidenti a me quando ti credetti, non mi dovevo fidare di una ricca, perché i ricchi ti fottono sempre.”
Versione popolare del celebre motto “Proletari di tutto il mondo unitevi”, insomma.
Infine, Gennarino Carunchio, rivolto verso “l’amico” mare: “Mare traditore che mi fosti amico un tempo e poi mi hai camminato sopra il cuore, ti sputo sopra.”
In sintesi, c’è qualcosa di tragico e di eroico in Gennarino Carunchio: “C’è chi è fortunato e chi è “pisciato dalla fetusa” (un insetto che fa seccare la polpa dell’uva novella col suo umore). Anche questi disgraziati possono mettere la vela secondo la barca (“com’è la varca si menti la vela”) ma è una vela nera per un bastimento destinato a sbattere sugli scogli.” (Leonida Repaci).
Ecco, Gennarino Carunchio, è il simbolo tragico del meridionale “pisciato dalla fitusa”: a volte non è sufficiente saper navigare per sottrarsi a un insolito destino.
Michele Lagano