Gio. Nov 21st, 2024

Se durassimo in eterno
tutto cambierebbe,
dato che siamo mortali
molto rimane come prima.

Questa poesia è del poeta tedesco Bertold Brecht, ( Augsburg 1898/ Berlino Est 1956), uno dei maggiori drammaturghi del XX secolo.

I versi rimandano alla nostra effimera esistenza, ma nello stesso tempo, al perdurare degli affetti. Al sentirci radicati ai nostri vissuti. Nello sforzo continuo del ricordo di ciò che abbiamo vissuto e delle persone con cui abbiamo condiviso parte della nostra vita, tessiamo la nostra trama esistenziale mobile nell’immobilità. In verità, se per un momento perdessimo la memoria di ciò che è stato, perderemmo noi stessi. E soprattutto gli altri non ci riconoscerebbero in questa nostra dimenticanza, seppur temporanea. Quindi noi siamo davvero il nostro passato e il nostro presente. Ci è dato pertanto vivere ogni momento per creare memorie che uniscono noi e il mondo circostante nella permanenza, più che in una proiezione futura. In verità il futuro ci è davvero ignoto proprio perché siamo mortali.

Il fatto di vivere la precarietà ci spinge a volere a tutti i costi mantenere ciò che è stato.

E’ un modo per restare fermi e respirare le nostre esistenze insieme.

Il rimpiangere un tempo felice è un modo per riviverlo.

Terribile è il momento in cui, impreparati ad un distacco più o meno doloroso, subiamo un lutto senza riuscire a rielaborarlo. Abbiamo bisogno di qualcosa o di qualcuno che rimetta a posto i pezzi, cucia  ferite, riporti ciò che è stato, e chi è stato, a noi stessi. Al nostro presente. Tutto deve rimanere come prima per continuare a vivere.

Queste mie riflessioni, più o meno condivisibili, sono scaturite sì dalla poesia di Brecht, ma soprattutto dalla lettura dell’illuminante libro di Laura Imai Messina :

“Quel che affidiamo al vento”

“Anche se passa il tempo, il ricordo di chi abbiamo amato non invecchia. Invecchiamo solo noi.”

E ancora:

“Una volta che cambi direzione alla speranza, quella perde la strada e non è più capace di fare ritorno.”

Queste su citate sono due delle tante frasi del libro che ci fanno riflettere e ci spingono a cercare in noi delle risposte.

Ma chi è questa autrice, qual è la trama del libro e cosa  l’ha ispirato?

Laura Imai Messina è nata a Roma nel 1981 e si è laureata in Lettere all’università  la Sapienza.

A 23  anni si è trasferita in Giappone, a Tokyo, per studiare la lingua.

Dal 2006 vive stabilmente in Giappone col marito e due figli. Oggi insegna italiano in alcune prestigiose università della capitale. E’ autrice di molti romanzi, saggi e storie per ragazzi.

Quel che affidiamo al vento” è diventato uno straordinario caso editoriale.

La Messina è davvero capace di entrare nell’anima misteriosa, a volte misterica, del Giappone, laddove il limite di separazione, tra ciò che è stato e ciò che è, resta davvero  una linea sottilissima.

Un luogo soprattutto dell’anima in cui trovare rifugio e risposte . Una continuità tra il mondo dei vivi e quello delle persone ormai scomparse a a cui restiamo per sempre legati.

“In fondo era quanto ci si augurava per tutti, che un posto dove curare il dolore e rimarginarsi la vita ognuno se lo fabbricasse da sé, in un luogo che ognuno individuava diverso.”

Ma dove si trova questo luogo?

Il posto dove è ambientato gran parte del romanzo è realmente esistente ed è Bell Gardia, sulla vetta della Montagna della Balena, nei pressi della città di Otsuchi.

Qui è situato il famoso telefono del vento, costituito da una cabina telefonica non funzionante, bianca con pannelli in vetro, al cui interno si trova un telefono  nero  con accanto un quaderno su cui i visitatori appongono le loro firme e registrano i loro pensieri .

Questo telefono  mette in contatto idealmente i numerosi visitatori con i loro cari defunti.

Va detto che lo scopo di questa istallazione non è religioso, ma è solo un modo per aiutare chi ne fa uso a riflettere sulla perdita .

L’ideatore, Itaru Sasaki, che lo ha creato nel 2010  a seguito della morte di un cugino,  lo ha aperto al pubblico dopo il terribile terremoto con conseguente maremoto nel 2011.

Nel disastro persero la vita 15.000 persone.

Lo stesso Sasaki si è espresso così:

Poiché i miei pensieri non potevano essere trasmessi su una normale linea telefonica, volli che fossero portati dal vento

Da allora i visitatori hanno superato le 30.000 presenze.

Su queste premesse è nato il libro della Messina.

Ecco la trama in breve:

Yui  è una giovane donna di trent’anni che vive in Giappone e lavora alla radio.

Nel terribile tsunami del 2011 ha perso madre e figlia di tre anni  e questo evento ha lacerato la sua vita.

Un giorno viene a sapere dell’esistenza di un giardino nel nord est del paese dove c’è una cabina con un vecchio telefono nero attraverso cui la gente si mette in contatto ideale coi propri morti.

Lei si aggrappa a questa speranza, ne ha bisogno per sopravvivere, e parte per raggiungere questo luogo. Per anni vi tornerà periodicamente , diventerà amica del custode e di alcune persone che frequentano lo stesso luogo, mossi dal suo stesso desiderio. Lei però per molto tempo non troverà il coraggio di entrare nella cabina. A Bell Gardia conoscerà un uomo la cui moglie è morta di cancro e la cui figlia, per il trauma subito, è diventata muta. Col tempo Yui si innamorerà di lui e troverà il coraggio di entrare nella cabina e usare il telefono del vento.

Un romanzo davvero straordinario  e misterioso, che va letto con molta attenzione, cercando di avvicinarsi con rispetto ad un mondo dove voci e storie fluttuano intorno come folate di vento.

P.S. Di telefoni del vento ne troviamo sparsi oggi in varie parti del mondo. Anche da noi in Italia ce n’è uno sul Colle Belvedere dell’Azienda Agricola Tegolaja a Capannoli, in provincia di Pisa.

Anna Bruna Gigliotti

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