Nella psichiatria classica, l’attacco di panico rientra nella categoria dei disturbi d’ansia e, come tale, esprimerebbe una crisi acuta d’angoscia il qui fattore quantitativo si rivelerebbe decisivo nella sua differenziazione dagli altri disturbi della categoria, in psicoanalisi angoscia e panico rappresentano fenomeni non del tutto assimilabili fra loro.
Se l’angoscia è più nell’ordine dell’Unheimliche, ovvero in quel senso di spaesamento interiore dato dal contatto con qualcosa di talmente intimo e personale da essere vissuto come estraneo (extimitè), l’esperienza del panico è piuttosto nell’ordine dell’Hilflosigkeit, della perdita di ogni possibile legame di aiuto, garanzia, supporto con l’Altro. Il soggetto si sente invaso da un eccesso di “vita reale”, senza limiti e senza controllo. Lacan parla di “vita reale” mettendola in relazione per sottolineare il buco del sapere rispetto all’esistenza umana.
Un’altra differenza tra panico e angoscia è rispetto allo scenario in qui questi due fenomeni si manifestano. Se l’angoscia ha sempre un carattere intimo, riservato, senza altro soggettivo, l’attacco di panico si presenta con enorme frequenza in luoghi di massa, in quei luoghi in cui i legami significativi risultano sfaldati, luoghi in cui il soggetto si sente come isolato, perso, abbandonato. Ad esempio un paziente descrive il suo primo episodio, poco prima di una lettura in pubblico ad un convegno.
Nel nevrotico la nevrosi d’angoscia trova il suo senso nell’esigenza di separarsi dalla morsa asfissiante dell’Altro materno attraverso l’appello al padre, nel panico viene a mancare la possibilità di fare appello la padre e la paura della morte imminente, tipico del fenomeno legato alla crisi di panico, sembra essere la ricerca disperata da parte del soggetto di un limite esterno di fronte all’eccesso di vita che lo sovrasta. Come un urlo per frenare quel troppo di vita che rende la vita stessa invivibile.
Per un istante, solo un istante infinito, la durata indeterminata di una crisi di panico, il soggetto vede il reale senza senso traumatico della vita. Vede, come il malinconico, che la vita non ha senso. Di qui il frequento ritiro depressivo che segue il panico. Da qui la paura che quando di “reale” il soggetto ha colto attraverso l’esperienza del panico possa quanto prima ripetersi.
Alessandro Nenna