Quando nelle case imperava il legno e non il truciolato, c’erano la credenza, il buffet, il tavolino inglese e tanto altro, c’era il salotto buono, e, solo nei giorni di feste comandate o per le visite importanti, si scopriva dai teli che lo salvavano dalla polvere. I mobili dovevano resistere al tempo, essere lasciati in eredità, curati, lucidati da mani esperte e amorevoli con panni morbidi. Si curavano i graffi, si cercavano rimedi per le eventuali scheggiature, non parliamo poi dei libri che se avevano le pagine incollate per l’umidità, si passavano sulla pentola in cui bolliva l’acqua e si aspettava pazientemente che il vapore le staccasse, gli strappi della carta non conoscevano vinavil, ma colla realizzata con acqua e farina.
C’era profumo di cera, e non è solo un bisticcio di parole. C’era un profumo che veniva dalla cucina, il caffelatte del mattino, il sugo della pasta a pranzo, la minestra della sera, la famiglia riunita intorno alla tavola. C’era, perché la colazione si fa al bar- caffè e cappuccino, il pranzo si riduce ad un panino in piedi trangugiato velocemente tra una discussione di lavoro ed un commento su quanto accade, consumati anche questi con stratosferica velocità, e la cena, uno di qua, uno di là, per prendere a morsi quello che resta della giornata.
I ricordi entrano prepotenti nel pensiero quando sono gli oggetti ad evocarli, quando mettendo le mani in cassetti spesso inarrivabili perché troppo alti o al contrario troppo bassi, vengono fuori tra le mille cose, vecchi centrini. E’ inutile dirlo, non servono più, non devono proteggere nessun mobile, aloni e macchie e ancora graffi, sul truciolato si tolgono con una passata di straccio in micro fibra; ma chi ha il tempo di lavare, inamidare con lo zucchero, trine di pizzo ad ago, all’uncinetto, stirare con cura, con attenzione maniacale quel pippiolino, quell’archetto… oggetti passati nel dimenticatoio, ricchezza di tempi lontani, di corredi di tela d’Olanda, di Fiandra, di lino con le frange, quando il tempo era prezioso e non gettato via in corse spasmodiche… Quelle “ buone cose di pessimo gusto” come raccontava Gozzano, tenute da conto, fatte per durare, perché si pensava al futuro dei discendenti, oggi sembrano avere perso non solo l’uso, ma il significato, eppure servono, caso mai fosse necessario, per dare un valore a chi ci ha preceduto, per raccontare una società che non esiste più e che fra non molto sarà completamente dimenticata, surclassata e superata da oggetti cotti e mangiati addirittura divorati, dalla velocità, dalla frenesia della vita.
La coltivazione della memoria che non deve diventare negativa nostalgia per un tempo che non può tornare, può trasformarsi in allegra malinconia, si perdoni l’ossimoro, trasformando con la creatività, oggetti desueti in ricordi visibili e concreti. Cucire i centrini su una semplice tenda bianca, per essere in compagnia di chi quei centrini li ha realizzati. Il passato si inserisce così nel quotidiano presente e fuggevole.
Nadia Farina