La fine delle grandi narrazioni ha lasciato un campo minato. Senza più soggetti collettivi in grado di articolare quelle narrazioni, di spiegarle e di scriverne gli sviluppi, rimangono monconi, code di lucertola che continuano a muoversi, anche quando il corpo le ha abbandonate ed è morto.
È ciò che plasticamente, in tanta parte dell’opinione pubblica italiana, è emerso di fronte a ciò che è accaduto in Israele. Chi giustifica o ridimensiona o minimizza o “contestualizza” l’orrore dell’attacco, terroristico perché non c’è altro aggettivo, di Hamas, lo fa, più o meno consapevolmente, perché attinge all’ultimo schema di interpretazione a disposizione della memoria collettiva.
Accade soprattutto in Italia, ma non solo in Italia. Sopravvive, nell’inconscio collettivo della sinistra, la potente opera di costruzione e diffusione, per affinità ma soprattutto per tattica nel mezzo della guerra fredda, del manto ideologico attorno ad Arafat e Al Fatah come prodotti di successo: materie prime locali, produzione sovietica, grande distribuzione internazionale affidata a partiti e movimenti variegati.
Un’era geologica fa, ma appunto l’unica narrazione disponibile seppure in forma di reliquia. L’ideologia è la più potente benda per nascondere agli occhi la realtà, per non fare i conti con gli errori (e gli orrori).
Non vedere l’estinzione del socialismo arabo; non vedere i paralleli tra Hamas e le esperienze fondamentaliste; non vedere, retrospettivamente, l’insensatezza di inserire la questione israelopalestinese nelle coordinate Est/Ovest; non vedere l’impatto del cambio, violento, di egemonia tra i palestinesi sulla politica e l’opinione pubblica israeliane; non vedere le condizioni in cui i vertici palestinesi, ora e allora, hanno tenuto le popolazioni loro affidate; e, infine, continuare a invocare la soluzione dei due Stati, la tregua, la trattativa, quando Hamas ha nel proprio DNA la distruzione di Israele.
Tutta questa cecità ha una sola causa, lo si riconosca o no: l’opinione pubblica, italiana soprattutto, di sinistra soprattutto, si muove come la coda della lucertola. Impazzita, in base a impulsi, non più attuali, di un corpo che non c’è più. Che forse aveva ragione un tempo, o forse no, ma sicuramente non può più dire nulla.
Alessandro Porcelluzzi