Gio. Nov 21st, 2024

Aveva cominciato a scappare da quando aveva appena imparato a camminare, non esisteva serratura a cui non arrivasse, e un giorno scomparve.  

La chiamò la mamma, poi i fratelli, poi il padre, i vicini, gli amici, tutti. La chiamarono urlando il suo nome. In Argentina, negli anni cinquanta,  nel quartiere di Florida, la strada era perennemente allagata, e la loro casa, bianca e bassa, sporgeva su un marciapiede largo, ma poi, era acqua.  

Non c’era risposta a quelle chiamate, e piano piano, saliva alla gola l’angoscia. Quando furono tutti richiamati dall’abbaiare ululante di cani. Come quando sta per avvicinarsi un terremoto e i cani fanno sentire voci inumane.  

Il pensiero di tutti si rivolse al potrero, una palude in fondo alla strada  in cui viveva il boracho, un vecchio ubriacone circondato da un canile a cielo aperto. Corsero tutti indistintamente e la trovarono lì, uno scricciolo di bimba, circondata dai cani che le impedivano il passo verso la palude.  

Fu festa grande, si gridò al miracolo e si decise di tornare a casa per preparare l’asado, la carne sul fuoco. 

Insieme ai penetranti profumi dell’asado,  si disperdevano nell’aria, suonate da una fisarmonica di buona volontà,  le note struggenti di un tango di Gardel e di vecchia musica italiana.   

Sul patìo, seduti  su seggiole di paglia e sgabelli di tronchi di legno, aspettando che la carne si cuocesse per irrorarla con il chimichurri, bevevano mate* e rievocavano l’avvenimento,  mescolandolo come sempre accade, ad episodi personali di scampato pericolo.  

Una volta tornati in Italia, la sua famiglia non smise di fare l’asado.  Non c’era più nell’aria, quella vibrante nostalgia della terra lontana, del suono di una lingua familiare,  non c’era neanche una brace ad accogliere la carne, ma il forno fu un degno sostituto all’insicurezza di un fuoco che poteva accendersi o no. 

E così la mamma, aveva imparato a fare l’asado all’italiana e lei  aveva ripreso quel piatto e quei ricordi e li aveva trasferiti nella sua cucina e quando sente abbaiare i cani, ancora oggi, sente un canto amico! 

Così me l’hanno raccontata e così ve la racconto io: 

In una teglia si poggiano i pezzi di carne, quel taglio argentino, non esiste in Italia, ma dei pezzi di biancostato vanno bene ugualmente. Si uniscono le patate tagliate a spicchi, un peperone a listarelle, una cipolla divisa in quattro o sei, aglio, pochi pomodori tagliati a spicchi, , alloro, maggiorana, sale, rosmarino salvia, olio quanto basta, un poco d’acqua. Si fa cuocere il tutto nel forno molto caldo, coperto,  e quasi a fine cottura, si scopre la teglia e si fa rosolare il tutto. 

Il chimichurri, invece è una salsa, che può accompagnare oltre agli arrosti e ai bolliti di carne anche un   buon trancio di pesce, lessato o arrostito.  

In un frullatore mettere una cipolla grande, un pugno di prezzemolo, quattro spicchi di aglio, uno o due pomodori piccoli, origano, un peperone, un peperoncino rosso non troppo piccante, maggiorana, timo,  sale olio e aceto o limone. (due parti di olio , quattro parti di aceto o di limone). 

Cosa rimane di un viaggio da emigranti? Parole come Asado, Chimichurri, Mate. 

Cosa rimane a chi è riuscito a tornare? Parole, ricordi,  qualche piatto e la certezza di una sirena.  Quella del bastimento che ti riporta a casa.  

*Mate: è una zucchetta vuota e fatta seccare, da cui si beve una specie di te, chiamato in modo omonimo, mate appunto e che si aspira da una cannuccia chiamata bombija. 

Nadia Farina 

Dal mio libro: Le ricette raccontano- Terra del sole edizioni 

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