Gio. Nov 21st, 2024

Una favola di Esopo racconta di una volpe che invita a cena una cicogna preparando due piatti di cibo liquido (per cui la cicogna, dotata di becco, non mangia nulla). La cicogna ricambia l’invito e tocca alla volpe rimanere a digiuno, perché la cicogna serve il pasto, cibo sminuzzato, in vasi dal collo lungo.

La storia, o la morale, del reddito di cittadinanza è un po’ la stessa. Non si possono raggiungere due categorie diverse di persone attraverso lo stesso strumento. Una misura di sostegno contro la povertà non può essere allo stesso tempo uno strumento per il reinserimento di occupabili. O sbagli in un verso, o sbagli nell’altro. Nella peggiore delle ipotesi fallisci totalmente.

L’errore non è casuale, non è peccato veniale

È invece frutto di una lettura fuorviante, superficiale della congiuntura economica, del cambiamento di fase. A livello internazionale, certamente, ma soprattutto a livello italiano.

E così, gioco facile, il reddito di cittadinanza è finito sin da subito, sin dall’introduzione con il governo gialloverde Conte 1, nel fuoco della polemica, accendendo gli animi, stuzzicando emotività. Il divano, i furbetti, e altri fiumi di inchiostro velenoso. Esattamente come ora, che il Governo Meloni l’ha archiviato, l’emotività viene giocata in senso uguale e contrario, raccontando storie individuali strappalacrime.

Occorre invece ragionare sui due temi, povertà e mercato del lavoro, separatamente, in modo distinto (e non invece d’istinto). Perché differenti sono i referenti e dunque anche le possibili soluzioni, se esistono.

Ovviamente qui solo in estrema e insufficiente sintesi.

A proposito della povertà: società complesse, tecnologicamente avanzate, conoscono povertà diverse e differenti rispetto al passato o a società meno evolute. Per intercettare e sostenere le fasce a forte rischio di povertà o già franate al di sotto della sua soglia ci sarebbe bisogno di servizi sociali forti, robusti. Un welfare, non necessariamente solo statale, ma anche frutto di mutualismo e cooperazione, che fungesse da sentinella, da presidio dei territori. Non abbiamo nulla di tutto ciò, anzi abbiamo smantellato in allegria, con fervore, le poche realtà che funzionavano.

A proposito del mercato del lavoro, sfatiamo qualche mito. Non è vero che ci sia lavoro per tutti. Ci sono gruppi d’età e di qualifiche che, una volta espulsi dal mercato del lavoro, sostanzialmente non possono essere riassorbiti. Chi non lo riconosce, finge di vivere in un epoca pre quarta rivoluzione industriale.

Certo, è possibile immaginare lunghe transizioni attraverso lunghe riqualificazioni. Ammesso che sia una scommessa vincente, che il tempo non ecceda quanto a disposizione (per ragioni anagrafiche), si apre tutta la questione dei contratti.

Come mi è già capitato di commentare, in Italia sono state criticate, ferocemente, tutte le diverse (e assai differenti nella impostazione) stagioni di riforma intervenute su diritto/contratti/mercato del lavoro, da Treu attraverso Biagi fino al governo Renzi. E ancora si continua a giocare la polemica sul piano del “precariato”. Mentre, eterogenesi dei fini, regna sovrano il lavoro nero (che qualcuno fantastica di eliminare attraverso i “controlli”).

Questo siamo, e rimaniamo, come Paese. Sempre piatti di cibo liquido per cicogne, sempre vasi dal collo lungo con cibo sminuzzato per volpi.

Alessandro Porcelluzzi

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