Nel tuo essere perfetto
colgo la mia imperfezione.
Nella fame
nella sete
nel tuo sguardo di ragazzo
il mio passato preme.
Dolce è il suo ritorno
sui segni del tempo.
Accarezzi
e baci
le mie mani segnate
da dolori morbidi
e stanchi
poi mi offri i tuoi fianchi
felini
archi perfetti
su chiese di pietra.
Di vespro sa
l’urlo della campana
che acquieta
la sera che scende
come carezza
sul tuo corpo che
prega
tace
riposa
tra le mie braccia.
“Vespro” è una delle mie poesie che fa parte della silloge “Sensi e Controsensi” del 2015, ed LunaNera. E parla d’amore.
“Spesso ho fatto l’amore per obbligarmi a scrivere” recita Annie Ernaux, premio Nobel 2022 per la letteratura, nell’incipit del suo brevissimo e intenso romanzo, quasi un racconto, dal titolo
“Il ragazzo”.
Ed è subito verità.
Annie Ernaux è nata a Lillebonne nel 1940 ed è una delle voci più interessanti del panorama culturale francese.
I suoi racconti autobiografici ci regalano specchi in cui ritrovare i nostri stessi profili. I nostri vissuti. La nostre nascoste o taciute emozioni.
L’autrice se la ride dei luoghi comuni e delle convenzioni sociali. Lecca ferite aperte da sguardi di disapprovazione e ci chiede solo di lasciarci trasportare dalla vita. Che tanto quella inesorabilmente trascorre.
La narrazione delle sue esperienze personali diventa così strumento di indagine sociale, politica ed esistenziale.
Così si legge nell’incipit del romanzo:
Cinque anni fa ho passato una notte impacciata con uno studente che mi scriveva da un anno e aveva voluto incontrarmi.
Spesso ho fatto l’amore per obbligarmi a scrivere. Volevo trovare nella fatica, nella derelizione che ne segue, delle ragioni per non aspettare più niente dalla vita. Speravo che la fine dell’attesa più violenta che ci sia, l’attesa di godere, mi facesse provare la certezza che non esiste piacere superiore a quello della scrittura di un libro.
Chi scrive sa. Sa che perché la storia, una poesia, funzionino, cioè arrivino a catalizzare l’attenzione e trasmettano emozioni, devono necessariamente attraversarci.
Scriviamo di passioni sempre. Qualsiasi passione ci abbia catturato
Un cuore, che non vibra di pancia, non ha vita. E’ terra arida e come tale non viene abitata.
“Il ragazzo” ci parla di una relazione, una delle tante che vorremmo, anche solo nell’immaginario, o che abbiamo vissuto, o vivremo. Una storia forse banale, quella di una cinquantenne e di un ragazzo di trent’anni più giovane, ma nello stesso tempo straordinaria.
Eccezionale perché personale. Anche e solo perché dà alla scrittrice la possibilità di farne un’opera letteraria. Per cui diventa all’improvviso condivisibile e universale.
La scrittrice scrive:
“Quando eravamo da me, si metteva l’accappatoio con il cappuccio che aveva già avvolto altri uomini. Mentre lo indossava non rivedevo nessuno di loro.
Di fronte al tessuto di spugna grigio chiaro provavo soltanto la dolcezza della mia stessa durata e dell’identità del mio desiderio.”
Ed ecco che il passato viene indossato, necessariamente, ma superato e trasformato in nuova forma. Perché niente si cancella ma si vive e rivive in mutate spoglie.
E poi c’è la gioia di amare ancora umiliata dalla disapprovazione che arriva spietata:
“Il mio corpo non aveva più età. Era necessario lo sguardo carico di disapprovazione dei clienti del tavolo accanto al nostro al ristorante perché tornasse a manifestarsi.[…]
Le persone sedute sul muretto di cemento che costeggiava la spiaggia ci avevano seguito con lo sguardo da un capo all’altro. A. mi ha fatto notare che eravamo più inaccettabili di una coppia omosessuale.”[…]
Il passato e il presente danzano, vanno a braccetto e poi inesorabilmente, come da copione smettono di percorrere la stessa strada. E non c’entra la differenza d’età. Forse. E’ come viene vissuta quando le emozioni vengono schiacciate dai ricordi. Un dèjà-vu che svilisce ogni nuova esperienza.
“Mi piaceva pensarmi come colei che poteva cambiargli la vita[…]
La principale ragione per cui volevo continuare quella storia era che, in un certo senso , aveva già avuto luogo, che ne ero il personaggio fittizio.”
E qui ritorna la scrittrice, colei che vive, ingoia, respira ogni esperienza e ne fa narrazione letteraria. Inesorabilmente alla fine c’è il distacco. Fatalmente annunciato.
“ Lavoravo senza sosta al mio racconto e, attraverso una risoluta strategia di distanziamento, anche alla rottura. Con l’approssimazione di qualche settimana, quest’ultima ha coinciso con la fine del libro.”
Vorrei terminare questo mio articolo dedicato ad una grande scrittrice francese, con le parole di una poetessa che d’amore ha parlato tanto. Una donna libera e coraggiosa la cui voce ha superato i secoli per giungere a noi sempre forte e chiara. La divina Saffo.
Qui riporto la traduzione del frammento 31 ad opera di Salvatore Quasimodo:
«A me pare uguale agli dèi
chi a te vicino così dolce
suono ascolta mentre tu parli
e ridi amorosamente. Subito a me
il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda, e la voce
si perde sulla lingua inerte.
Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,
e ho buio negli occhi e il rombo
del sangue alle orecchie.
E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.»
Anna Bruna Gigliotti