Sab. Nov 23rd, 2024

Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d’essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. […] Chi, staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que’ monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l’immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s’imparò a distinguere dal rumore de’ passi comuni il rumore d’un passo aspettato con un misterioso timore.

( Alessandro Manzoni: I promessi sposi – capitolo VIII )

Questo su riportato è uno dei più famosi brani de “ I promessi sposi” di Alessandro Manzoni: L’addio ai monti di Lucia, costretta a lasciare il suo paesello, sul lago di Como, su una barca a remi  per sfuggire a Don Rodrigo. Con lei Renzo e sua madre Agnese. I due giovani sono uniti da uguale tragico destino, ma in verità già separati. Destinati a trovare rifugio in due luoghi diversi: un convento di frati a Milano per Renzo, un monastero di suore di clausura a Monza per Lucia.

Questa fuga, come si sa, porterà ad una catena di eventi che stravolgeranno la vita dei due fidanzati. Nel momento dell’addio, c’è per ora il dolore e il rimpianto. Già diventato quasi ricordo, fissato negli occhi,  che si posano sui luoghi natii, accarezzandoli.

Niente è più tragico di un esilio forzato.

A tal proposito così si esprimeva, in tempi di certo a noi più vicini, il grande poeta cileno Pablo Neruda, esule dal suo amato Cile nel febbraio del ’49. A conferma del comune sentimento di estraneità che accomuna tutti coloro che sono costretti ad allontanarsi dalla propria terra.

L’esilio è rotondo:

un cerchio, un anello:

i tuoi piedi lo girano, attraversi la terra,

ti sveglia la luce, e non è la tua luce,

la notte giunge: mancano le tue stelle,

trovi fratelli: ma non è il tuo sangue.

Ma torniamo ai Promessi Sposi. Al nostro Alessandro Manzoni, di cui quest’anno ricorrono i 150 anni dalla sua scomparsa: 22 maggio 1873.

Lo scrittore ha lasciato un’impronta indelebile nella cultura italiana e non solo come scrittore, ma anche come figura di spicco del Risorgimento.

Devo dire che la lettura della sua opera più importante, I Promessi Sposi, a volte è stata vissuta dagli adolescenti come una cosa che “s’ha da fare” perché la impongono i programmi scolastici. Senza voglia alcuna di leggere tutte quelle pagine di cui si compone l’opera.

Eh sì, perché nella sua stesura originale, sono ben 318 !

Anche l’aspetto del suo autore non suscita alcuna simpatia ai poveri ragazzi che lo hanno sempre visto come un uomo di mezz’età, dallo sguardo severo e distante, come lo si può evincere dalla copertina  di alcune edizioni del romanzo.

Immagine che di lui ci ha lasciato il pittore Francesco Hayez..

Ma il Manzoni non era affatto così. E qui ci viene in aiuto il bellissimo libro di Eleonora Mazzoni :

“ Il cuore è un guazzabuglio” (2023 Giulio Einaudi editore)

L’autrice, attrice di teatro, cinema, tv e scrittrice, oltre alle numerose pubblicazioni, dal 2022  ricopre il ruolo di direttrice artistica del Festival culturale Caterina Sforza di Forlì: L’anticonformista.

Dopo un’accurata ricerca, che l’ha portata a leggere le 1800 lettere che ci ha lasciato il Manzoni e le testimonianze di familiari e amici, la Mazzoni delinea la figura dello scrittore in modo davvero inaspettato. Ne emerge un ritratto di uomo ironico e affabile. Uno che, per citare un aneddoto divertente riportato dall’autrice nella premessa, ad un ammiratore che gli declamava alcuni versi dell’Adelchi chiese a chi appartenessero e alla risposta che erano i suoi, commentò con un amico: “ ditt de lu piasen anca a mi”.

Un uomo quindi spiritoso e autoironico che impregnò i suoi romanzi di ogni sua esperienza di vita, di tutto se stesso. Dell’anima e corpo e sentire delle persone che lo hanno accompagnato nella sua vita. Un ponte che lega vita vera a vita immaginaria.

 A tal proposito così si espresse Silvio Pellico : “Scrivi la tua vita, velando, aggiungendo, modificando, ed ecco un romanzo”.

Un esempio: Lucia nella prima bozza del romanzo si chiama Zarella, Si trasforma poi in Mondella. Mundàa in dialetto milanese vuol dire sbucciare, trarre il filo dal baco, come zarella è la spoletta del telaio. Ma Mondella ha anche un’assonanza con Blondel: Enrichetta Blondel, la  prima, amatissima, moglie del Manzoni.

Pallida, spesso malata, ci ricorda Lucia. Il suo pallore, la sua riservatezza ma anche il forte senso religioso che la fa andare sempre ritta sul cammino tortuoso che la vita le ha destinato.

Renzo è il suo contraltare: impetuoso, pronto all’attacco. Uno che a volte si mette nei pasticci. In lui si specchia un giovane Manzoni, ribelle, libertino. Un inquieto che per tutta la sua esistenza domò il suo fuoco.

E poi c’è quel senso permanente di abbandono. Di essere portato via. Di rimpianto.

Renzo è orfano, Lucia è senza padre, Gertrude viene portata via dalla sua casa per essere rinchiusa nel monastero. La stessa Cecilia, bambina muta e immobile tra le braccia di sua madre, in una delle più belle pagine del romanzo, viene strappata dal grembo di una madre anche lei morente.

Ma anche il nostro Manzoni ha sofferto l’abbandono e il disamore, come prima di lui sua madre Giulia, mai considerata figlia di sangue da Cesare Beccaria, che la destinò in quattro e quattr’occhio a un uomo di quarantaquattro anni  che lei ventenne considerava anziano: il conte Manzoni. A sua volta Il piccolo Alessandro venne messo in collegio a Merate. Aveva solo sei anni. La stessa età in cui sua madre Giulia era stata messa in collegio dal Beccaria.

Insomma la storia si ripete e replica dolore, sconforto e altri abbandoni. Così le anime nella realtà e nella finzione si confondono. Respirano lo stesso destino.

Andare per poi tornare. Come Renzo e Lucia. Come sua madre Giulia. Come lo stesso Manzoni. Uno strapparsi dalle carni, ma un desiderio fatale e profondo di ritornarvi. Per sempre. I due giovani si ritroveranno. Alessandro troverà sua madre Giulia. Un provvidenziale disegno destina un’umanità, in balia delle proprie folli inquietudini, ad una terra comune.

Voglio terminare questo mio articolo con una bellissima poesia di Salvatore Quasimodo che esprime a pieno quel senso di distacco e rimpianto di chi è costretto ad andare. Sempre. Per sempre. In ogni storia. In ogni tempo.  Per poi farvi ritorno.

Isola

Di te amore m’attrista,
mia terra, se oscuri profumi
perde la sera d’aranci,
o d’oleandri, sereno,
cammina con rose il torrente
che quasi n’è tocca la foce.

Ma se torno a tue rive
e dolce voce al canto
chiama da strada timorosa
non so se infanzia o amore,
ansia d’altri cieli mi volge,
e mi nascondo nelle perdute cose.

Anna Bruna Gigliotti

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