Gio. Nov 21st, 2024

Un pugno sul tavolo non è un buon argomento. Impedire a qualcuno di parlare non è una forma di dissenso. Impedire a un autore di presentare il proprio libro non è una protesta legittima. Farlo, oltre tutto, non per il contenuto del libro, ma per le opinioni dell’autore, è una aggravante.

 Ciò che è successo a Eugenia Roccella al Salone del libro di Torino è vergognoso. Ancor più vergognoso è l’atteggiamento di chi giustifica l’episodio o sposta altrove il focus della questione. A rigore, se chiunque potesse impedire a chiunque altro di presentare un libro in base alle proprie preferenze o antipatie personali e ideologiche, eventi come il Salone del Libro sarebbero di fatto impossibili.

 La battaglia delle idee è un affare serissimo. Le idee si combattono con le idee ed esistono luoghi e regole per sfidarsi. La democrazia è anche e soprattutto questo: la definizione dei limiti, delle condizioni e delle situazioni in cui scontrarsi.

Quella nei confronti di Roccella non è stata una manifestazione di dissenso. Roccella era là per presentare un libro autobiografico, la storia di una famiglia, la sua famiglia di origine, tutta interna al Partito Radicale.

Ai suoi contestatori del libro importava una cippa. Roccella è per loro un simbolo, da abbattere, di una certa visione dei diritti civili. Ma trasformare le persone in simboli è l’anticamera della violenza politica, che non passa sempre necessariamente dalla aggressione fisica. E infatti impedire a una persona di parlare è violenza.

Come sempre capita in questi casi, la violenza, il furore colpiscono anche e soprattutto persone miti. In ogni apparizione pubblica Roccella si è sempre presentata come politica misurata nei modi, pacata nei toni, pur se netta nei contenuti.

Sarebbe utile a tutti, al Paese, indagare a fondo le tesi di ognuno. Ascoltarle, prima di ogni altra cosa. Cogliere gli elementi accettabili e respingere, argomentando, quelli inaccettabili. Rispettare la biografia e i percorsi di tutti (ché sono tutti complessi e spesso difficili), non trasformare le persone in simboli.

Non è così lontana nel tempo una stagione terribile in cui la contrapposizione ideologica si trasformò in giustificazione della violenza. È un tempo di cui non avvertiamo nostalgia.

Alessandro Porcelluzzi

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