La strada era grigia, polverosa in fondo, di quella polvere bianca simile alla nebbia, che nebbia non era. L’andare avanti era una necessità, una spinta così forte, così irrinunciabile, perché l’ignoto è qualcosa che spaventa eppure come calamita attrae.
Andare avanti? Fermarsi? Quel biancore così impalpabile, così evanescente, doveva avere una ragione, ci doveva essere qualcosa che gli desse vita e voleva scoprirlo.
Allora si incamminò, prese un bastone tra le tante sterpaglie ai lati della strada, lo scelse nodoso e forte, non tanto alto, doveva diventare protezione, sostegno, arma di difesa. Intorno alla parte che avrebbe tenuto in mano avrebbe poi avvolto la sua sciarpa colorata per dargli una firma di possesso; per farlo più suo.
E camminò, prima lentamente poi sempre più veloce, come se ci fosse qualcosa o qualcuno ad aspettarlo. Aveva lasciato l’ansia alle spalle, l’aveva abbandonata dove aveva raccolto il bastone, sostituita dalla certezza, dalla sicurezza di una decisione presa. Mentre si avvicinava a quello che da lontano era un orizzonte e che da vicino diventava una meta, colse un piccolo fiore azzurro che faceva capolino tra l’erba, bagnata dal rigagnolo nel fossato. Lo guardò, era così piccolo e quasi si pentì di averlo strappato, lo aveva tolto al prato, lo aveva tolto allo sguardo di quanti sarebbero poi passati per quella via, ma poi comprese.
Non una margherita piena di dubbi “m’ama non m’ama”, aveva trovato, non una rosa gialla, così gelosa, non una rosa baccarat appassionata e fragile, non una viola condannata a pensare, non un salice sempre piangente, ma un miosotys, il nontiscordardime.
Non- ti – scordar –di – me! Era un segno? Lo avrebbe colto così come aveva colto il fiore e d’improvviso il velo bianco si alzò.
Ciò che vide furono le pagine dei suoi libri, quelli di quando era innocente. Vide Shangrilà, la città dell’orizzonte perduto dove l’utopia è realtà e non sogno, la città in cui tutto è possibile ed il tempo è infinito. Vide i piccoli abitanti di Lilliput curare come gioielli piccole case ricoperte di edere e di fiori, vide potare alberi minuscoli e ricoprire di ghiaia bianca i vialetti intorno. Vide Kandor, la città in bottiglia, salvata da un Superman che l’aveva portata nella fortezza della solitudine dopo la distruzione del pianeta Kripton, vide ancora tutti i luoghi che raccontavano la speranza del nulla è perduto.
Si accorse di respirare, come era bello respirare! Si accorse di pensare, come era bello il poterlo fare, si accorse di vivere, come era bello sapere di vivere! E l’aria intorno divenne fresca e nitida, profumata e gioiosa.
E il nontiscordardime si moltiplicò cadendo dalle sue mani, migliaia di piccoli fiori azzurri porgevano le loro corolle al sole e in coro:
- Nontiscordar di me! Noi Siamo le voci della terra, siamo le voci dei luoghi felici, siamo usciti dalle pagine dei libri perché tu possa ricordare che se non la proteggerai non esisterà più, sarà solo la pagina di un libro, sarà solo un sogno di chi potrà leggerci ancora e nulla di più. Tu cercavi forse il paradiso?
Il paradiso non è nel sogno, non nelle pagine di un libro.
Il paradiso è ciò che avrai saputo difendere, ciò che avrai costruito e poi continuato ad amare. Avrai bisogno del bastone per aiutare il tuo cammino che non sarà facile né privo di ostacoli, ma la tua sciarpa, proteggerà le mani dalle piaghe della fatica del lungo andare.
E un giorno, farai parte di quella polvere bianca che attirerà qualcuno di buona volontà e che si piegherà per raccogliere dal rigagnolo il fiore che tu avrai gettato e ancora gli dirà:
- Non Ti Scordar Di Me!
Nadia Farina