Gio. Nov 21st, 2024

Nessun vascello c’è che

 come un libro

 possa portarci in contrade lontane”

Così si espresse la straordinaria Emily Dickinson, che, come tutti sapranno, è stata una poetessa statunitense (Amherst: 10-12-1830/15-5-1886), la cui voce lirica è considerata una delle più grandi di tutti i tempi.

Ecco perché, quando il nostro direttore Antimo Pappadia mi ha chiesto di scrivere una recensione al suo libro di aforismi dal titolo singolare “365”, ne sono stata entusiasta.

Avevo proprio voglia di essere trasportata in quella nuova contrada ed esplorarla fino in fondo.

Non che fossi totalmente digiuna dell’argomento, infatti sono sempre stata un’appassionata lettrice di famosi detti arguti, colti e filosofici  di vari artisti o scrittori di tutti i tempi  quali Seneca, Voltaire, Charles Bukowski, Alda Merini, Woody Allen e tanti altri.  

Ho iniziato quindi la lettura accurata dell’opera e, come per le ciliegie più succulenti, non ho più smesso di gustarne il sapore, fino all’ultimo ἁφορισμός .

Chi scrive aforismi  non è di certo per dare consigli, parlo dei veri aforisti, non di quelli dalle frasi ad effetto, che il più delle volte precipitano nella dimenticanza, ma per farci entrare in una stanza piena di specchi.

L’intento è quello di destabilizzare i nostri già precari equilibri con l’auspicio che l’immagine di noi stessi, frammentata, si ricomponga alla fine in un intero, se non migliore, almeno più consapevole delle proprie, specifiche fragilità. E farci anche, perché no, sorridere.

Per fare un volo pindarico a ritroso e risalire all’origine di questo genere letterario, troviamo inciso sul frontone del tempio di Apollo in Delfi  il più celebre aforisma dell’antichità “γνῶθι σαυτόν”, ovvero “conosci te stesso” e sii consapevole dei tuoi limiti. Naturalmente nei confronti di Zeus, quindi del Trascendente. Allora era questo il Sommo referente.

Oggi, in questo prezioso libro ”365”  di Antimo Pappadia, il cui titolo si rifà alla misurazione ciclica della vita umana, ho ritrovato, in chiave moderna, lo stesso messaggio illuminante “inciso” sulla pagina della sua opera:

Un uomo che ha perso il proprio sé ama molto portarsi in giro per il mondo, ma, al tempo stesso, si guarda bene dal frequentare quei luoghi in cui potrebbe incontrare se stesso”.

E ancora:

Uno scoglio può mostrarsi mastodontico se a guardarlo è una formica, ma restano comunque entrambi invisibili agli occhi dell’Universo”.

Il Pappadia ci racconta di umanità e disumanità, di peccato e redenzione, di opportunismo e onestà intellettuale. Ci parla di schiavitù e libero arbitrio, di coraggio e di miseria:

Le pecore non comprenderanno mai che l’unico motivo perché il loro padrone le tiene in vita è perché vengano ciclicamente tosate”.

E non ci resta che fermarci e riflettere.

Scrive lo stesso autore:

-L’aforisma è l’essenza dell’essenziale-

Eh sì, perché l’aforisma è essenza, una frase che condensa un principio, cioè agisce per sottrazione esperienziale, e ci restituisce qualcosa di profondamente significativo.

 Dà una interpretazione filosofica alla nostra pur effimera, fragile, ma sorprendente, esistenza.

Vorrei augurare al nostro talentuoso direttore che il suo libro riceva il meritato plauso perché come disse George Orwell:

“ In un periodo di inganno universale, dire la verità è un atto sovversivo”

Anna Bruna Gigliotti

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