Il Terzo polo è esploso, o imploso. Tra tweet velenosi, dichiarazioni al vetriolo, interviste acide, il progetto di un partito unico tra Italia viva e Azione è stato cestinato. Ciascuna delle due parti accusa l’altra di essere responsabile, colpevole del disastro.
Quello tra Renzi e Calenda è sicuramente, anche, un duello psicologico. Lo è nella misura in cui si è inverato lo slogan “il personale è politico”, ma in un senso completamente distorto.
Il leaderismo, dato comune a tutte le forze politiche degli ultimi trent’anni, ha prima svuotato la rilevanza di dirigenti e funzionari, poi si è trasformato in un gioco di specchi tra i capi dei partiti e gli elettori. E infine il leader è rimasto solo. Vale per tutti i partiti: non riusciamo, nemmeno tra appassionati (figuriamoci tra gli indifferenti), ad andare oltre i tre-quattro nomi noti per ciascuna sigla. Dunque sì, sicuramente tra Renzi e Calenda c’è anche un gioco tra primedonne.
Questa interpretazione (o meglio: questa lettura) dello scontro è favorita dallo spazio e dalla attenzione di cui, da sempre, sia Renzi sia Calenda godono da parte della informazione mainstream. Sono stati, prima Renzi e poi Calenda, quasi in sostituzione l’uno dell’altro, due pupilli di una certa parte stampa. Una quota di questa fiducia, di questa simpatia è sicuramente frutto della fedeltà alla cosiddetta Agenda Draghi. Per una sorta di proprietà transitiva gli stessi organi di informazione che, talvolta in modo eccessivo, incensavano Mario Draghi, hanno trasferito una quota di credito sui (neo)draghiani Calenda e Renzi.
Ma fin qui siamo ancora alla politica gossip. Invece la miccia che ha fatto esplodere il conflitto, mandando in frantumi il progetto di partito unico, promesso agli elettori e che guardava già alle prossime elezioni europee, va cercata altrove. Tra i due contendenti Renzi ha forse compreso (e Calenda sembra invece non abbia compreso) il cambiamento di fase.
Il “momento populista” è finito, non solo in Italia. Le forze antisistema sono state ridimensionate o inglobate nei poli tradizionali. E gli elettori che avevano determinato quei movimenti tellurici, provocando crolli a destra o a sinistra, semplicemente non votano più.
L’astensione massiccia non sembra recuperabile, né reversibile: ciò a cui ci stiamo preparando è una democrazia fisiologicamente dimezzata in termini di partecipazione. Se i potenziali elettori delle forze populiste rimangono a casa, e se i contenitori politici populisti sono azzerati, o comunque fortemente ridimensionati, una forza che nasca, statutariamente, come antidoto al populismo, è priva di senso (e voti). Un macronismo tardivo, fuori tempo massimo, non è già più un macronismo.
Oltre tutto, e si torna ai leader, i due principali partiti dei due principali schieramenti hanno messo in campo due donne giovani. Il che, di questi tempi in questa parte di mondo, fa pensare a lunga durata e capacità di espansione (o almeno, per lo schieramento perdente, di assorbimento, parziale o totale, degli alleati/satelliti).
Renzi sta immaginando di ricavarsi un ruolo di pungolo (probabilmente su alcuni specifici temi: se fosse, ad esempio, sulla giustizia, potrebbe essere benefico) invece che di ago della bilancia. E questo spiegherebbe bene la scelta di dirigere un giornale, il Riformista. È ugualmente possibile che, poiché il pendolo della politica (non solo italiana, ma europea) continua ad oscillare verso destra, Renzi stia aspettando il momento opportuno per declinare, in luogo di Berlusconi, una componente liberale dello schieramento conservatore. In ogni caso, al momento, Renzi farà più opinione che campagne elettorali. Ché tanto le urne continuano a svuotarsi. Calenda sostiene invece che il progetto di partito unico, per il terzo polo, proseguirà. Al momento, per Calenda, questa è la terza rottura in pochi mesi: saltata la federazione con Emma Bonino e Più Europa, saltati l’accordo elettorale e l’alleanza con Enrico Letta e il PD, ora salta anche il progetto con Matteo Renzi e Italia viva. Se il buongiorno si vede dal mattino…
Alessandro Porcelluzzi