Il conte Henry– Marie-Raymond de Toulouse Lautrec Monfa, nato ad Albi, in Francia, il 24 novembre 1864, in arte semplicemente Toulouse Lautrec, mi aspetta nella “Sala Di Rue Des Moulins”, nota casa a luci rosse, dove abitualmente riceve per amicizia o per affari, chi desidera incontrarlo. E’ circondato dalle “signorine” in sgargianti e scollati abiti multicolori. Mi fa cenno di accomodarmi sul Divano Rosso mentre una delle signorine gli lucida le scarpe. – “Nessuno come loro sa farlo così bene!” . Dimostra una nobile superiorità e nel contempo una gratitudine senza superbia. Vive in quel mondo ma sembra voler ricordare che non ne fa parte.
-“Cominciamo da come vuole essere chiamato”
Non mi chiami Maestro. Non credo di avere mai insegnato nulla, mentre invece ho amato i miei veri maestri. Fondamentale per me, è stato Degas. Per molti e molte sono stato semplicemente Henry, per le altre e gli altri, Signor Conte, per qualcuno forse, Mon ami.
La chiamerò Signor Conte, d’altra parte, mi pare che il suo essere aristocratico non venga mai dimenticato quando si parla di lei, neanche quando piazza il suo cavalletto in questa sala. Ma avremo modo di parlarne..
Purché anche lei non mi chieda di raccontare come ho cominciato
No, non lo farò, anche se l‘episodio di quando a quattro anni volle disegnare come firma, un bue sull’atto di battesimo di un suo cuginetto, è molto significativo.
Ma cosa vuole, i bambini hanno di questi exploit, ed io non credo di essere stato particolarmente diverso dagli altri
Comunque non può negare che in lei la capacità disegnativa si sia manifestata precocemente. Oltretutto mi pare fosse insita nel DNA cominciando dal suo bisnonno
Come vuole lei. Vogliamo continuare?
Perché è così ostico nei confronti dei suoi inizi?
Io non ho nulla contro i miei inizi, gli altri o me stesso o il mio DNA. Ma voglio pensare che sia stata una mia scelta, non una imposizione della vita.
Può spiegarsi meglio?
Io devo tutto alla mie ossa. Sa come quei calciatori, che nel suo tempo, si rompono una gamba e non potendo più giocare a pallone, diventano cantanti? Ecco, io avevo le ossa delle gambe fragilissime, rotte una volta, non hanno più voluto crescere e la mia famiglia, visto che possedevo quelle famose capacità nel disegno, e non avrei mai potuto dedicarmi alla carriera militare o agli sport che tanto amavo, ha pensato bene di farmi studiare negli ateliers di artisti e di accademici dell’arte. Mia madre in particolare, diceva che la famiglia avrebbe avuto il suo Michelangelo.
Alla fine, è stato proprio così. La sua fama si è velocemente sparsa
Come battuta non è male, Michelangelo ha dipinto la possanza del corpo, io soltanto le sue linee
Quelle che lei cercava mentre gli impressionisti si dedicavano alle ricerche sulla luce. Li ha frequentati, ma senza mai diventare uno di loro
Sì, eppure è stato importante capire il loro punto di vista. Loro cercavano le vibrazioni della luce sulla natura, sulle figure che erano parte integrante dei loro dipinti, io invece cercavo la figura in controluce, la figura che mostra la sua essenzialità nella forma, nella linea, per definirne il carattere… La natura, il paesaggio, non mi interessavano. Ogni luogo era solo lo spazio in cui inserire le linee rapide e sinuose di questo o quel personaggio.
Personaggio che spesso diventa caricatura
Ogni essere umano ha una caratterizzazione, che non può essere giudicata o criticata, semplicemente accettata nella sua normalità che alla fine, diventa anonimato. La mia passione per la caricatura nasce da questo. Ironizzare senza sarcasmo, essere a volte spietato ma senza cattiveria, per cogliere l’essenza del soggetto e perché no, anche di me stesso.
Quando Sua madre, una madre dicono onnipresente, l’ha portato a Parigi una volta separata da suo padre, non avrebbe mai immaginato però che sarebbe diventato il pittore delle sale da ballo, dei locali notturni, dei bordelli e che tutto questo l’avrebbe poi portato ad essere così legato alla bottiglia! Pare che lei, Signor Conte, vi tenesse più che alla sua pittura!
Dicono che bevevo perché ero triste, perché la mia condizione fisica non mi permetteva una vita normale. Niente di più falso. Ho avuto molte compagne, Jane Avril, che ho più volte ritratto, la cantante Yvette Guilbert , Suzanne Valadon madre di Utrillo, e… ma non mi faccia dire oltre, non è da gentiluomini! E riguardo al bere, ho bevuto perché ho voluto vivere la vita nella sua perversa e magnifica totalità.
In quell’epoca, a Montmatre e Montparnasse, la sua aristocratica eleganza sembra essere fuori luogo. Nei locali, il divertimento pare essere il farsi offendere dallo chansonnier di turno. Gli spettatori sono irrisi, derisi e ridono a crepapelle. La trasgressione è la normalità e la volgarità sembra essere la regina delle notti parigine eppure lei, che ha addirittura vissuto in un bordello, come dicevo all’inizio, che vi ha piazzato il suo cavalletto, che vi ha vissuto come pensionante, ha dipinto questo mondo con il rispetto dovuto alla persona. Quale che sia, Madama o prostituta.
Non sono mai stato un voyeur. Piuttosto un ammiratore di chi danzando, riesce ad esprimere tutta la sinuosità del corpo, e delle “signorine della casa” ho voluto mostrare la loro vita normale, l’attesa del cliente di turno, e il vuoto che le avvolgeva prima e dopo. Era un lavoro come un altro e come tale andava guardato
Posso chiederle qualcosa di più preciso sulla sua tecnica?
Per ogni opera, vuoi che fosse un dipinto, una litografia, un manifesto, ho fatto schizzi, disegni su disegni, studi preparatori perché il risultato sembrasse una cosa buttata giù al momento. Sa quando si dice: Sembra facile! Dagli impressionisti ho imparato il taglio fotografico, il poter congelare un movimento, anche il più esasperato, in un istante. Dalla linearità delle stampe giapponesi e dal teatro delle ombre cinesi ho tratto le mie silhouettes, e poi mi è piaciuto dipingere con una visione dall’alto. Non sorrida, come vede, anche a chi non possiede l’altezza fisica, l’arte offre infinite possibilità di riscatto. Ma adesso non mi chieda di più, devo preparare il “Manifesto per il Moulin Rouge”
Lo lascio ai suoi ritratti, maschere di tipi di vita, alle sue litografie alle sue sfrenate ballerine, alle sue signorine dallo sguardo spento e mai diretto. Sono entrata alla Maison con un certo disagio, ne esco con l’orgoglio di chi ha avuto la splendida occasione di entrare in contatto con la vera nobiltà. Molti artisti gli saranno debitori del loro futuro grazie al coraggio e alla forza delle sue linee, dei suoi colori e delle sue maschere espressive. E’ entrato per la porta principale in tutti i musei del mondo e sua madre che lo vedeva come il suo Michelangelo, ha raccolto tutto ciò che di lui le era rimasto, nel museo di Albi che si inaugurerà venti anni dopo la sua morte avvenuta a Saint-Andrè-du Bois il 9 settembre del 1901 a soli 37 anni.
Tratto dal libro: “Parole oltre il tempo” di Nadia Farina pubblicato da Mreditori