In Occidente è tra le ricorrenze più note: basta pronunciare la data “8 marzo” che immediatamente viene in mente la “Festa della donna”, accompagnata da un tripudio di mimose e auguri. Moltissime donne si aspettano di ricevere sia l’omaggio floreale che quello verbale, soprattutto dal proprio partner, e nel caso ciò non avvenga, per dimenticanza o “insensibilità”, quasi sempre la delusione è forte. Almeno per un giorno all’anno le donne vogliono essere protagoniste assolute, salvo poi protestare sul fatto che un giorno solo non basta: ce ne vorrebbero almeno 365 per sentirsi adeguatamente considerate dall’altro sesso. Comunque almeno per l’8 marzo gli auguri sono un imperativo categorico! Ma auguri per cosa? Cosa si “festeggia” in questo giorno?
È paradossale che di una ricorrenza tanto nota, quasi nessuno ne conosca l’origine e la finalità per cui fu istituita. Sono decenni, poi, che da occasione per riflettere sull’uguaglianza tra gli esseri umani è stata trasformata in una festa del consumo svuotata di senso, pur tra le molte manifestazioni, spesso valide e interessanti, che vengono organizzate per l’occasione. In realtà l’8 marzo non è la data di una festa, bensì è il giorno della celebrazione della “Giornata Internazionale della donna”, che almeno nell’intenzione iniziale, aveva poco a che fare con l’idea di festa.
Sull’origine di tale ricorrenza circolano varie leggende, di cui due sono quelle più note, completamente infondate o meglio due vere “bufale”.
Quella più diffusa fa risalire la data al ricordo di 129 operaie che sarebbero morte bruciate in un incendio di una fabbrica americana, per la precisione, secondo la leggenda, la Cotton di New York. Lo stesso proprietario, tal mister Johnson (come Mario Rossi in Italia), sarebbe stato responsabile della tragedia. Stufo della protesta che le sue operaie portavano avanti occupando da giorni la fabbrica, l’8 marzo del 1908 blocca tutte le uscite e appicca il fuoco allo stabile, provocando l’atroce morte delle sventurate. Peccato che di questo incendio non se ne siano conservate testimonianze documentarie: al Museum of the City of New York sulla Fifth Avenue c’è una sezione dedicata a tutti gli incendi più gravi verificatisi nella città, tutti tranne quello del 1908, di cui non c’è traccia. Strano per un evento dal quale sarebbe nata la celeberrima Giornata della Donna!
Altra leggenda, meno nota, fa risalire l’istituzione della ricorrenza a uno sciopero di lavoratrici tessili, avvenuto l’8 marzo del 1857, sempre a New York, e represso brutalmente dalla polizia.
La vera origine della Giornata Internazionale della Donna è ben nota agli esperti e studiosi di tradizioni, come spiegato molto chiaramente, nel suo Calendario, da Alfredo Cattabiani (1937-2003), scrittore e giornalista, studioso di storia delle religioni e tradizioni popolari.
Il primo Woman’s Day in assoluto si tenne il 3 marzo del 1908 al Garrik Theater di Chicago, dove il Partito socialista organizzava ogni domenica una conferenza. Mancato per quel giorno il conferenziere, le donne ne approfittarono per organizzare la prima Giornata della Donna, che ebbe un successo insperato tanto che l’esecutivo del Partito dichiarò ufficialmente: “Raccomandiamo a tutte le sezioni locali del Partito Socialista di riservare l’ultima domenica di febbraio del 1909 per l’organizzazione di una manifestazione del diritto di voto femminile”. Da quel momento, dunque, fu ufficializzato il Woman’s Day, legato allo storico movimento di protesta di matrice femminista per il riconoscimento del suffragio universale.
Negli anni successivi si celebrò la Giornata anche in vari Paesi europei (ad esempio in Germania, a partire dal 1911, la ricorrenza cadeva il 19 marzo, giorno in cui, nell’anno 1848, il re di Prussia aveva promesso il voto alle donne), senza, tuttavia, che si fosse giunti ad individuare un giorno universalmente riconosciuto da tutti gli Stati che aderivano all’iniziativa.
Fu la Rivoluzione Bolscevica ad imporre l’8 marzo, anche se indirettamente. A Pietroburgo il 23 febbraio del 1917, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, operaie e mogli di soldati sfilarono in corteo chiedendo cibo per i figli e il ritorno dei mariti dal fronte di guerra. Siamo nel corso della cosiddetta “Rivoluzione di febbraio” che portò all’abbattimento del regime zarista. All’epoca però vigeva ancora il calendario giuliano, sfasato rispetto al gregoriano di 13 giorni, per cui il 23 febbraio corrispondeva all’8 marzo in Occidente. Nel 1921, durante la Seconda Conferenza Internazionale delle Donne comuniste, riunita a Mosca, si adottò l’8 marzo come Giornata Internazionale dell’Operaia, in ricordo del “giorno della prima manifestazione delle operaie di Pietroburgo contro lo zarismo”. Da allora la data venne sempre più largamente accolta da altri Paesi, fino ad essere universalmente accettata. Però, a partire dagli anni ’50 del ‘900 in diversi Paesi si avvertì l’esigenza di scindere l’8 marzo dalla storia sovietica. Lo si associò allora al martirio delle operaie americane, probabilmente sull’onda della suggestione di un incendio realmente verificatosi a New York, il 25 marzo del 1911, in una fabbrica tessile in cui perirono 146 uomini e donne, per cause dovute alle scarse norme sulla sicurezza. L’associazione dell’8 marzo al presunto martirio delle operaie americane permise di ampliare gli orizzonti della celebrazione a un mondo più grande, facendo al tempo stesso leva sulle emozioni. Le storie che ci turbano e ci colpiscono rimangono indelebili nella mente, questo è probabilmente il motivo per cui si preferisce continuare a credere alla falsa origine della Giornata della Donna.
In Italia essa si è radicata solo a partire dal 1945. Quell’anno, per iniziativa delle iscritte all’Unione Donne Italiane (UDI), di ispirazione comunista e socialista, l’8 marzo ci fu una riunione nell’Aula Magna del Liceo Visconti a Roma, insieme con le cattoliche del Centro Italiano Femminile, vedove di caduti, partigiane e sindacaliste. In quell’occasione fu approvata una Carta della Donna, in cui si chiedeva il diritto al lavoro in tutte le industrie, la parità salariale, la possibilità di accedere ai posti direttivi e di partecipare pienamente alla vita nazionale e internazionale: obiettivi sui quali da allora sono stati conseguiti larghissimi risultati, pur permanendo, soprattutto in ambito lavorativo, le discriminazioni di sesso.
L’anno successivo nacque l’idea di mettere all’occhiello un fiore che caratterizzasse la Giornata, come il garofano rosso per il 1° maggio. Poiché all’epoca non c’era la possibilità di far giungere fiori in aereo da ogni parte del mondo, alle giovani romane vennero in mente gli alberi ricoperti di fiori gialli, in un periodo dell’anno in cui molte piante erano ancora spoglie, alberi che crescevano rigogliosi nei giardini e parchi romani. La proposta ebbe tale successo che da allora la mimosa è il simbolo della Giornata della Donna, un fiore scelto casualmente, ma dall’efficace significato simbolico, dal momento che rappresenta il passaggio dall’inverno alla primavera, dalla morte a uno stato di vita. Dunque un emblema di rinascita, un auspicio di vittoria nella lotta al riconoscimento della pienezza dei diritti delle donne.
E questo dovrebbe rimanere il significato dell’8 marzo. Un giorno in cui ci si ricorda intenzionalmente che nascere donna ha rappresentato storicamente quanto meno uno svantaggio e ha impedito a miliardi di donne di portare pienamente a compimento il proprio essere. Anche molti tra gli uomini di sesso maschile subiscono ogni giorno ingiustizie che limitano la loro libertà di tradurre in atto ciò che sono in potenza, pertanto non parlo per difendere in astratto le donne contro gli uomini “cattivi”, ci sono donne e uomini pessimi e poi ci sono tutti quelli che, ognuno in base a capacità e mezzi, dipanano il filo della propria esistenza, per comporre la trama di una vita degna di essere vissuta. Le donne nate nella parte di mondo più avvantaggiata sono fortunate rispetto a quelle che oggi, come in passato, vivono in oscuri luoghi dimenticati dalla coscienza. Per le donne occidentali la vita è oggettivamente e complessivamente più facile, sebbene ancora lontana da una vera parità, che non passa solo attraverso il riconoscimento e l’attuazione di diritti, ma attraverso la coscienza del rispetto della vita e dell’individualità di ogni essere umano. L’8 marzo fu istituito per sollecitare l’opinione pubblica sui problemi relativi alla discriminazione sessuale in campo sociale, familiare, lavorativo, politico. Nacque dunque da giuste motivazioni e, se non ci fosse, bisognerebbe istituirlo, perché tutto sommato, ancora oggi c’è poco da festeggiare.
Ludovica Ascione