Elly Schlein è stata eletta segretaria del PD dal popolo delle primarie. Comprendere, prima di esprimere qualsiasi giudizio.
Alcuni elementi, quasi in via preliminare, sono, a mio modo di vedere, essenziali per comprendere, appunto, questo evento.
In primo luogo: le primarie aperte premiano Schlein non nonostante il voto pro Bonaccini degli iscritti, ma proprio a causa di quel voto. In secondo luogo: le primarie aperte premiano Schlein non nonostante il suo recente ritorno nel PD, ma proprio a causa di esso.
Se il consenso al Pd (e al centrosinistra, se ancora questa espressione ha un qualche valore numerico) è progressivamente calato; se l’astensionismo crescente ha colpito in modo più duro e violento il campo progressista; se il Pd è stato identificato, a torto o a ragione, come epicentro di una crisi del proprio campo (e riduzione della presa sulla realtà dei partiti, con teorizzazione infinita del partito liquido): ebbene, l’apertura ai non iscritti (dato peraltro genetico del PD) stavolta non poteva che determinare il tentativo di una spallata.
È dunque fuorviante, a mio parere, discutere in termini di “più al centro o più a sinistra”. O ancora in termini di programmi, riferendosi al duello Bonaccini-Schlein. Ammesso che i programmi siano mai stati, nella Storia (pentastellati prima ora a parte), davvero un elemento dirimente in politica.
Ciò che si percepisce, in politica, è più importante di ciò che in origine si voleva far percepire.
In quel deserto, chiamato centrosinistra, Schlein è riuscita a offrire l’immagine di una sorpresa, di un inciampo, uno sgambetto. Rispetto a dirigenti/amministratori locali che, almeno in maggioranza (e con eccezioni notevolissime: Franceschini in primis), si erano collocati altrove e con un altro candidato.
E ha interpretato, nella propria traiettoria: dentro-fuori-di nuovo dentro il PD, qualcosa di più simile alla esperienza vissuta da una fetta importante di elettori-militanti o militanti-elettori del centrosinistra. Una appartenenza al proprio campo meno granitica, meno “fedele nei secoli”, più critica e sofferta, soggetta al ripensamento. Insomma più contemporanea, meno novecentesca.
Non ultima tra le ragioni della vittoria alla primarie: il fattore donna. Che sia frutto, più o meno conscio, della reazione uguale e contraria alla leadership al femminile della destra, o che invece sia maturazione autonoma, per strappo popolare, del Pd, la prima volta di due donne al centro della battaglia politica mi sembra una notizia importante. Di più: epocale.
La sorpresa di queste primarie, il “ribaltone”, mi pare abbia questi elementi come fattori davvero determinanti.
Il resto (quale partito, quali perimetri, quali coalizioni, quale opposizione: argomenti per i quali , tra l’altro, l’elettore medio del centrosinistra ha sempre le migliori ricette pronte da offrire) è in realtà materia del futuro.
Alessandro Porcelluzzi