La democrazia italiana perde pezzi, è zoppa, mutilata. L’astensionismo era un fenomeno sostanzialmente sconosciuto durante la Prima Repubblica. Tutto interno, quindi, alla Seconda Repubblica, ha conosciuto però, negli ultimi anni (e mesi), una impennata spaventosa. Le elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia sono casi clamorosi di questa tendenza. Tra i 6 e i 7 elettori su 10 sono rimasti a casa. In due elezioni che riguardano le regioni della capitale politica e della capitale economica del nostro Paese. Una rappresentanza che si regge su un terzo dei rappresentati è un salto nel passato, una pericolosa torsione. Oligarchia, in senso letterale. Perché la delega ha forza, legittimità quando è specchio fedele, reale delle opinioni e degli interessi presenti nell’elettorato. Se due cittadini su tre rifiutano di esprimersi, allora la tenuta della democrazia è a rischio. Anzi, la democrazia è già franata.
L’albero da cui è caduto questo frutto avvelenato ha radici, come si diceva, nella Seconda Repubblica. L’epoca della demolizione sistematica dei partiti e della politica. La lunga stagione, all’inferno, dell’antipolitica e del qualunquismo. Umori neri, cavalcati di volta in volta da questo o da quel leader, tribuno, arruffapopolo. Su queste parole d’ordine sono nati, a nidiate successive, nuovi partiti e nuovi movimenti. Unico risultato: aver avvelenato, ancora di più, il dibattito pubblico, assecondati dalla stampa, dalla tv, dagli opinionisti di ogni tendenza e colore. Oggi gli Italiani, dopo tre decenni di questa lotta nel fango, sembrano aver alzato bandiera bianca. Se la politica fa così schifo, come ci ripetono da trent’anni, che senso ha continuare a chiederci di scegliere?
In questo disastro, in questo burrone in cui precipita la democrazia italiana, a pagare pegno, in misura maggiore, è il campo progressista. Quello che un tempo si chiamava sinistra o centrosinistra. Ciò dovrebbe sorprendere almeno chi ha buona memoria. Perché storicamente l’elettorato organizzato, sempre mobilitato, a tratti persino militarizzato, era patrimonio proprio delle forze della sinistra. Dunque di fronte a una astensione impressionante, in base alle reminiscenze del secolo scorso, la sinistra avrebbe potuto e dovuto resistere meglio. Al contrario oggi più cresce l’astensione, più la sconfitta si fa netta. Ciò significa che a sinistra è rimasto solo un elettorato d’opinione, evanescente, e pure numericamente scarso. Le elezioni regionali di Lazio e Lombardia sgombrano anche il campo dalla favola autoconsolatoria che circolava dalle scorse elezioni politiche: che cioè il tema fosse l’aggregazione, o meglio la mancata aggregazione, alleanza, tra le diverse anime del centrosinistra. In Lazio e in Lombardia la sinistra perde in tutte le versioni: perde quando si alleano PD e M5S (come successo in Lombardia a sostegno di Majorino); perde quando si alleano PD e Terzo Polo (come accaduto nel Lazio a sostegno di D’Amato); e chi rimane fuori, da una parte o dall’altra, da queste aggregazioni colleziona ugualmente risultati scarsissimi, come successo a Moratti in Lombardia e a Bianchi nel Lazio. Persino sommando (un esercizio puramente matematico, privo di realismo politico), tutte le forze ostili al centrodestra non si supera, e nemmeno si raggiunge, la percentuale ottenuta da Fontana in Lombardia o da Rocca nel Lazio.
Dunque nemmeno con la più ampia varietà dell’offerta politica la sinistra riesce ad essere competitiva. Perché è sparita, si è inabissata, piuttosto, la domanda di sinistra. Lo scollamento generale tra rappresentanti e rappresentati, la demolizione sistematica della politica e dei politici, lo iato profondo tra ciò che inquieta, tormenta, agita la società e ciò che invece riesce ad arrivare sul palcoscenico della politica istituzionale e mediatica: queste contraddizioni hanno colpito quasi esclusivamente la sinistra. Una sinistra che non ha compreso il pericolo, che al contrario ha spesso (per non dire sempre) assecondato i fenomeni montanti in questi anni e decenni. Fino al punto di essere considerata custode della società che si andava costruendo e dei suoi privilegi, dei suoi vizi, delle sue storture. E ora si trova come quel selvaggio che tentava di cacciare indietro le maree prendendo a calci le onde.
Alessandro Porcelluzzi