Tra il 1981 e il 1982 l’Alto Adige fu teatro di uno scontro politico assai acceso. Il tema, che divideva quel territorio e incendiava il dibattito, era il rapporto tra le diverse comunità linguistiche e la regolamentazione di questa convivenza. Alexander Langer si opponeva fieramente al cosiddetto censimento linguistico (ciascun cittadino doveva dichiarare a quale comunità linguistica appartenesse), considerandolo un modo per ingabbiare (e separare violentemente) comunità invece contigue, che avevano piuttosto bisogno di ponti, ambasciatori, punti di contatto per una piena convivenza. Langer e i suoi portarono fino a Roma, a Montecitorio, il tema del dibattito, montando appunto gigantesche gabbie (non più solo metaforiche) di fronte al Parlamento contro il censimento. Oggi le stesse gabbie dovremmo forse portarle a Viale Trastevere, davanti al Ministero dell’istruzione. Il Ministro Valditara propone stipendi differenziati a seconda delle zone d’Italia. Perché, sostiene, ci sono aree in cui il costo della vita è più alto. Di fatto questo è un ritorno alle gabbie salariali, fallite decenni fa. Si possono, anzi si devono muovere, molte obiezioni a questa proposta. In primo luogo ci si può chiedere: come saranno individuate le aree salariali? Su base regionale, sovraregionale, provinciale? Perché, come è chiaro a chiunque conosca un po’ l’Italia, esistono differenze importanti di costo della vita non solo (e non tanto) tra regioni diverse, ma anche e soprattutto tra città e paesi, tra capoluoghi e provincia diffusa. E ancora: la voce più pesante in termini di costo della vita riguarda gli affitti, e anche questi si muovono, variano, non in base alla linea Nord-Sud, ma ad altri meccanismi di domanda-offerta (città universitarie, luoghi di villeggiatura, disponibilità di strutture convenzionate, “turismo sanitario” ecc.)
Un altro ordine di obiezioni ha invece a che fare con la assoluta inconciliabilità tra la proposta dei salari variabili a seconda del territorio e le proposte di salari differenziati in base al merito. Con risorse scarse non si comprende quale dei due criteri (territorio o merito) prevalga. O se semplicemente l’unico merito diventerà il Comune di residenza. O di domicilio, se è vero, come è vero, che dietro questa proposta si nasconde in realtà il sempiterno problema della scuola italiana: alunni/classi del Nord e insegnanti del Sud. Osservato da questa prospettiva, il tema potrebbe assumere una forma completamente diversa. Si tratta cioè di immaginare strumenti efficaci per rendere ancora sostenibile, persino desiderabile, per tante e tanti docenti meridionali, la prospettiva di lavorare al Nord.
Difficilmente un aumento, differenziato in base al territorio di destinazione, di stipendio (di quanto realisticamente?) potrà convincere qualcuno a questa prospettiva. Sarebbe, al contrario, il momento di pianificare il supporto a questi enormi movimenti di persone: mettere in campo strumenti (di welfare, si sarebbe detto un tempo) innovativi, in particolare, per la casa e la mobilità, prime voci di spesa per i lavoratori fuori sede. Se vogliamo essere all’altezza delle sfide che abbiamo davanti a noi. Altrimenti ci sono sempre le gabbie. E l’attesa, “campa cavallo che l’erba cresce, dei finanziamenti dei privati alle singole scuole.
Alessandro Porcelluzzi