Sab. Nov 23rd, 2024

Son morto con altri cento
Son morto ch’ero bambino
Passato per il camino 
E adesso sono nel vento 
E adesso sono nel vento

Ad Auschwitz c’era la neve
Il fumo saliva lento
Nel freddo giorno d’inverno
E adesso sono nel vento
Adesso sono nel vento

Queste due strofe appartengono alla famosissima canzone di Francesco GucciniLa canzone del bambino nel vento”, meglio conosciuta come “Auschwitz”.

L’autore, nato a Modena nel 1940, ha vissuto l’infanzia a Pavàna, sull’Appennino tosco-emiliano, presso i nonni paterni, quando il padre Ferruccio, dopo l’entrata in guerra dell’Italia, fu chiamato alle armi.

“ Cresciuto tra i saggi ignoranti di montagna, che sapevano di Dante a memoria e improvvisavano di poesia…”

Francesco Guccini è un artista molto impegnato ed è considerato uno tra i più rappresentativi cantautori italiani. Le sue canzoni sono state portate al successo anche da altri gruppi, come

 I Nomadi e L’Equipe 84 ( ex Gatti di cui lo stesso Guccini faceva parte).

Tra i testi più famosi: Noi non ci saremo, L’antisociale e Auschwitz.

Furono i Nomadi a portare al successo una delle sue canzoni più note: Dio è morto, elogiata in seguito dallo stesso Papa Paolo VI che ne riconobbe il messaggio universale, sebbene a suo tempo, nel 1967, fosse stata censurata per blasfemia.

Il vero riconoscimento alla sua Arte gli giunse nel 1972 con l’Album Radici, che contiene le canzoni più famose come La Locomotiva, in cui l’autore parla di uguaglianza, di libertà, di giustizia sociale. A tal proposito così scrisse Giorgio Gaber:

«Bolognesi! Ricordatevi : Sting è molto bravo, però tenetevi il vostro Guccini. Uno che è riuscito a scrivere 13 strofe su una locomotiva, può scrivere davvero di tutto.»

A testimonianza di quanto la sua voce poetica fosse maturata e il suo genio artistico riconosciuto.

Altri testi dell’Album: Il vecchio e il bambino, Incontro, Piccola città, dedicata a Modena:

«Piccola città

bastardo posto,/

appena nato ti compresi/

o fu il fato che in tre mesi/

mi spinse via?»

Negli anni, tanti furono gli album di successo : Metropolis, dove Bisanzio, Venezia, Bologna, Milano diventano città simbolo di grandezze e cadute, ma soprattutto del disagio del vivere.

E ancora: Guccini, Signora Bovary, Quello che non…, D’Amore di morte e di altre sciocchezze e Ritratti in cui dedica il brano Piazza Alimonda a Carlo Giuliani, il ragazzo ucciso nel 2001 negli scontri di Genova.

Ho citato solo alcuni dei suoi 30 album e si potrebbero approfondire le tante sfaccettature della sua complessa personalità e del suo impegno artistico, ma il luogo non è questo per il tema con cui ho aperto questo mio articolo, Auschwitz, e da cui mi sono allontanata a causa della poliedrica personalità del suo autore, non solo cantautore, ma anche poeta, scrittore, attore, insegnante, insignito di premi e riconoscimenti per i suoi meriti artistici.

Ma ora torniamo a “La canzone del bambino nel vento”. Il testo, come affermò più volte lo stesso autore, non fu scritto partendo da una precisa motivazione, ma nacque così all’improvviso da un’intuizione immediata, come se le parole fluissero da sole. Allora il Guccini, circa 57 anni fa, aveva solo 24 anni e stava preparando un complesso esame di latino, quindi, in un momento di pausa dalle “sudate carte”, si mise a strimpellare la chitarra. Era un pomeriggio d’autunno e nacque un capolavoro. Attraverso la voce di un bambino, Francesco Guccini decise di mettere in musica la tragedia della Shoah, scrivendo una delle sue canzoni più delicate e commoventi.

Ma c’è un passaggio che io valuto molto importante:

Ancora tuona il cannone
Ancora non è contento
Di sangue la belva umana
E ancora ci porta il vento
E ancora ci porta il vento

In questa strofa, non si parla solo dell’orrore dei lager, ma della nefandezza e brutalità dell’animo umano.

A tal proposito si era espresso anche Primo Levi quando nella sua celeberrima poesia, che precede il romanzo “ Se questo è un uomo”, ha posto l’accento sulla necessità di conservare e trasmettere la memoria di ciò che si è consumato nei campi di concentramento, anzi dell’obbligo di farlo per riscattarci da tanto orrore:

[…]

Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,

La malattia vi impedisca,

I vostri nati torcano il viso da voi.

C’è un’altra canzone del 1981, Lager, in cui Francesco Guccini canta che esistono ancora questi luoghi, oggi, dove le “belve umane” citate in Auschwitz esistono ancora.

Così si è espresso lo stesso autore:

«Purtroppo “belve umane” e lager ne esistono ancora e non smettono mai di stupire dolorosamente. Non sono più quelli col filo spinato, sono lager morali, lager dell’indifferenza dell’uomo, dell’odio per i diversi, del sospetto verso coloro che fuggono da situazioni di guerra e povertà e fame».

Voglio terminare questo mio articolo, in doveroso tributo alla giornata dedicata alle vittime della Shoah con una strofa tratta dalla canzone Lager…per non dimenticare, ma anche per riflettere:

Cos’è un lager?
Son recinti e stalli di animali strani, gambe che per anni fan gli stessi passi,
esseri diversi, scarsamente umani, cosa fra le cose, l’erba, i mitra, i sassi,

l’ironia per quella che chiamiamo  ragione, sbagli ammessi solo sempre troppo dopo, prima sventolanti giustificazione, una causa santa, un luminoso scopo,
sono la curiosa prassi del terrore, sempre per qualcosa, sempre per la pace,
sono un posto in cui spesso la gente muore, sono un posto in cui, peggio, la gente nasce.

[…]

prima per chi perde e poi chi vincerà, uno ne finisce ed uno sorgerà,
sempre per il bene dell’umanità, chi fra voi kapò, chi vittima sarà
in un lager?

Anna Bruna Gigliotti

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