“Penso che un sogno cosi
Non ritorni mai piu’
Mi dipingevo le mani e la faccia di blu
Poi d’improvviso venivo dal vento rapito
E incominciavo a volare nel cielo infinito…”
Così comincia una celeberrima canzone nata, è storia vecchia, dal paroliere Migliacci che un giorno si era addormentato sul divano davanti ad un quadro di Chagall.
Al risveglio, ancora intontito, ispirato da quel blu, da quegli amanti che volano sui tetti di Parigi ricchi di una forte energia ed insieme di una dolce melodia, ha trasformato i colori in parole che sono diventate le prime frasi della canzone
“Nel blu dipinto di blu”. Modugno, l’ha portata in tutto il mondo e tutto il mondo ancora oggi canta il suo ritornello. Volare…
Non è impossibile volando, incontrare Chagall, lui che del sogno e della favola aveva fatto la sua cifra più importante, sui tetti di Vitebsk, la città in cui è nato il 7 luglio 1887, trasformati nel tempo in “Rossi tetti” parigini.
Nulla intorno a noi è fermo e stabile, immagini che fluttuano nell’aria, che volteggiano, che volano, eppure non si staccano dalla scena.
Maestro, come ha potuto raccontare con le immagini, anche la sua, tanta varia umanità? Non è lei ebreo convinto che ha fatto dell’ebraismo uno dei racconti primari della sua pittura? E gli ebrei non sono forse iconoclasti?
Io sono ebreo di nascita e di convinzione, ma non sono un talmudista dogmatico, ricordo che il Talmud proibisce qualunque creazione di immagini, che invece, sono state importanti per me perché mi hanno aiutato a raccontare un’infanzia povera ma felice, le enormi difficoltà in cui si trovavano gli ebrei sotto l’impero zarista, il martirio della mia Vitebsk, la natura, la Bibbia, l’amore…
A proposito di amore, i suoi “Amanti “ hanno attraversato i cieli della Russia, di una Parigi incantata… quasi sempre accompagnati dalla figura di un violinista. Chi era, cosa rappresentava?
Mi ha ispirato mio zio Neuch che suonava il violino durante le feste e per me e per tutti rappresentava la libertà del mondo dell’arte.
E la candela, così presente nelle sue opere?
La candela accesa era la pace della casa, il preannuncio del domani. La sua luce non può cancellare le tenebre, si può piegare al vento, ma non si deve spegnere mai.
Vuole parlarmi della sua luce? Della luce di Chagall?
Nella mia vita, così combattuta tra i contrasti, le regole della disciplina e le feste così liberatorie, la povertà e la necessità della felicità, il legame alle cose com’erano e il riuscire a vederle nella trasparenza delle apparenze, la malinconia velata e venata da gioia di vivere, la luce era il tramite verso il divino, il cercare l’assoluto. E una luce nuova la trovai a Poros, un’ isola greca in cui andai con la mia seconda moglie Valentina, dopo un lungo tempo di pianto e di solitudine in cui mi aveva lasciato la mia Bella dopo trent’anni.
Trent’anni, fu esattamente a trent’anni che scrisse la sua biografia, in yiddish, se non ricordo male, la lingua materna e poi tradotta in francese da Bella, sua moglie e passata alla storia come “ Ma vie”. Non era un po’ presto, scrivere una biografia? Alla luce del futuro, lei che è vissuto fino a quasi 98 anni, poteva raccontare molte cose e invece, mai ha scritto un trattato, un saggio sulla pittura. Non ha sentito l’esigenza di raccontare il suo vissuto? Il perché dei suoi colori, dei suoi personaggi?
Vede, ho la presunzione di pensare che proprio quella biografia potesse essere illuminante su tutta la mia poetica. Le capre, le mucche? Avevo un parente macellaio a Vitebsk e a Parigi vivevo accanto ad un mattatoio. Sentivo muggire le vacche e il muggito era la vita, lo sentivo mentre dipingevo e il toro che poi ha ispirato anche Picasso per “Guernica”, era simbolo ambivalente di vita e di morte, di sacrificio e di forza.
L’ebreo errante?
Il pellegrino che fugge. Fugge sempre stringendo la Torah tra le braccia.
Le figure rivolte da sotto in su sono nate nel 1914, quando un giornalista in una mostra, appese un mio quadro capovolto. Non volevo forse io, la rivoluzione della cultura? Lo accettai perché mi sembrava avesse compreso più di me il mio mondo interiore, se vuole, anche surreale.
So che Breton, padre del Surrealismo, sosteneva che lei fosse un predecessore di questo movimento al quale però, non volle mai aderire, così come non aderì al fauvismo, al cubismo, al suprematismo..
La surrealtà in me, non era voluta, era la mia anima russa a mostrarmi le cose in modo onirico. Il surrealismo non è forse l’espressione dei sogni?
L’essere fauve, violento nei colori, era una forza interiore, non dimentichiamo i colori degli abiti e delle feste della mia terra d’origine.
Il cubismo? Non è forse mostrare di una cosa tutti i lati? Ebbene, io dispongo su un unico piano figure, oggetti, sentimenti in un “cubismo” di immagini, unendo simultaneamente ricordi e sogni, visioni fiabesche e nostalgie infantili.
Il suprematismo? Non vorrei parlarne, per la delusione che Malevich, il suprematista per eccellenza mi ha dato. Gli ho aperto le porte della mia Accademia Vitebsckiana e lui, approfittando di una mia assenza, l’ha ribattezzata Accademia Suprematista. Sa come ho reagito? Mettendolo in carcere con la mia qualifica di incaricato governativo delle Belle Arti. Ma vinse lui, perché ciò non mi impedì, dico oggi incoerentemente, di rifarmi in qualche caso alla pittura suprematista, la pittura che cancellava l’oggetto in favore di ciò che chiamo il nulla.
Maestro, la sua vita è stata molto lunga, intensa, vibrante, ed è difficile in due pagine raccontarla, la Russia, la Francia, l’America, la Grecia, l’Italia… e poi l’ebraismo,Il Museo del Messaggio Biblico, Le Due Spose, la guerra, gli incarichi istituzionali, i grandi mosaici, le grandi vetrate, il “Cielo” dell’Operà di Parigi… Adesso comprendo il suo bisogno di mettere un punto fermo nella sua vita scrivendo un’autobiografia. Alla fine, tutto se pure in modo diverso si è ripetuto nella sua lunga storia e mi perdoni, ma penso che da allora in poi, il sogno è sempre stato lo stesso. Ha vissuto un multiplo di trenta e mi perdoni ancora, ma l’incanto di quei sogni, di quelle favole, di quell’infanzia, io non l’ho più ritrovato se non ne “I tetti rossi” un quadro in cui tutto mi ricorda l’artista nato a Vitebsck, l’artista vissuto a Parigi, l’artista che ha sognato e poi ha voluto continuare un sogno senza viverlo.
Forse ha ragione, ma anche ripetere un sogno e volerlo rivivere è ancora un modo di sognare. Ed io sogno nella trasparenza e nel brillio delle mie vetrate, cavalcando una tavolozza colorata di rosso di giallo di blu di viola, facendomi accompagnare da una giovane sposa e da un violinista mentre suono un flauto magico intorno al sole che irradia i suoi raggi.
Marc Chagall, circondato dai suoi colori, smise di volare nel blu dipinto di blu, il 28 marzo 1985, , a Saint-Paul-de Vence, in Francia.
Nadia Farina
(Tratto dal mio libro “Parole oltre il tempo” – Di Nadia Farina Edito da Mreditori)