Nessuno ti ha presentato, eppure in modo prepotente sei apparsa nella mia vita e mi hai aggredito senza alcun motivo. Ti sei insinuata nei miei occhi con noncuranza, lentamente, senza quasi che me ne accorgessi, direi, quasi a tradimento.
Non ti ho aggredito, sono stata inviata da madre natura per farti meditare sulla caducità del tempo, perché se non te ne sei accorta, su di te si è posato il velo degli anni.
Ma quale velo degli anni! Mi si è deposto solo sugli occhi per cambiare la mia visione delle immagini; prima nitide e smaglianti, poi come se avessi indossato degli occhiali con un filtro giallo, per giunta sabbioso, insomma la nebbia di Londra e il deserto del Sahara fusi insieme. Inutile stropicciarsi gli occhi, inutile mettere colliri.
E così che ti sei accorta di me?
Anche, ma la prima volta ero in cucina quando un’aureola trasferendo nell’aria tutti i loro colori, ha circondato il tavolo su cui avevo poggiato il cesto con i peperoni gialli e rossi, le melanzane viola, i finocchi bianchi, le prugne dorate e le ciliege rosso fuoco, e non ti dico delle foglie del prezzemolo e del basilico illuminate dalle mille stelline delle gocce d’acqua.
Non mi ero mai vista così, mi racconti ancora?
Una sera, guardando il cielo, ho visto le stelle di Van Gogh
Le stelle di Van Gogh?
Hai presente la sua “ Notte stellata” dove aveva dipinto le stelle come tanti globi luminosi? E La luna? Circonfusa da un arcobaleno. Non l’ho mai più vista così. E di notte, alzandomi dal letto, mi facevano allegria tanti cerchietti luminosi e colorati.
Se ti davo tutte queste visioni, perché hai voluto estirparmi?
Perché un conto è lo sguardo artistico che si riempie di poesia ed un altro è lo sguardo del quotidiano, quello che si posa sulle cose e infonde sicurezza, perché tu, togli sicurezza mostrando illusioni.
Non immaginavo di fare questo effetto! E allora, adesso che il tuo occhio è tornato com’era, al contrario di Monet che mai ha potuto recuperare una vista che gli permettesse di dipingere la realtà così com’era, invece che confusa e distorta, non sei felice? Vuoi raccontarmi come mi hai cancellato dalla tua vita?
Sono entrata nella sala operatoria, accolta da una fredda luce al neon ma dal calore dei medici e degli assistenti. Mi hanno fatto stendere sul lettino, mi hanno fatto parlare, intanto mi abbandonavo fiduciosa e serena nelle mani del chirurgo. Non ho pensato a nulla, e quando qualcosa mi ha punto, perché mi ha punto, mi sono chiesta cosa sarebbe successo, poi… poi ho cominciato a vedere il mio occhio dal di dentro, le caleidoscopiche immagini che il mio occhio contiene e porta fuori di sé per farne regalo alla mente.
Cosa hai visto? Non avevi male? Non so, paura?
No, niente male, per lo meno non l’ho sentito. Paura? Neanche un po’! Ero troppo presa dai colori, colori, tanti colori, arcobaleni in cui si mescolavano si fondevano entravano l’uno nell’altro i gialli e i blu che trascoloravano nel verde, i rosa e i verdi smeraldo delle giornate di primavera, i bruni, i rossi e gli amaranti dei tramonti sul mare, gli azzurri freddi dei cieli d’inverno, le bianche e ovattate nuvole d’autunno, infinite aurore boreali
Davvero, hai visto tutto questo?
Sì e ti ho visto anche quando qualcosa ha sollevato il tuo velo. E ti ho visto infine, quando una ragnatela di cristalli luminosi come non mai mi è apparsa, prima che, dopo un tempo senza tempo, qualcuno dicesse: Abbiamo finito!. Ma non mi dimenticherò mai di te. Ringrazierò il cielo della vista riconquistata, del progresso della chirurgia che ti ha debellato, eppure non mi dimenticherò di te! Tu invadente, arrogante, prepotente, mi hai inondato, ma mi hai permesso di vedere ciò che occhi spalancati e sani non possono vedere, quella sostanza di cui parlava Shakespeare, la stessa di cui sono fatti i sogni e…siamo noi.
Nadia Farina
(nella foto “L’Atterraggio” opera digitale di Daniela Casaburi)