Giuseppe Conte non è solo un uomo, non è solo un leader di partito: è piuttosto uno spirito dalle molte metamorfosi. Vi racconto dunque delle metamorfosi dello spirito di Giuseppe Conte. Lo sconosciuto professore e avvocato Giuseppe Conte si fece un giorno ministro della pubblica amministrazione in pectore nel mai nato, ma preventivamente annunciato, governo monocolore del M5S. Ma la fortuna aiuta gli audaci, e qualche volta pure i telegenici, e dunque dopo le elezioni del 2018 il Conte Giuseppe passò da aspirante ministro a fortunello Premier. Un premier sovranista, gialloverde come la bandiera che univa il M5S e la Lega, entrambi allora col vento in poppa. Salvini pensò poi di far cadere il governo, sperando di capitalizzare il crescente consenso leghista e tagliare le ali al M5S. Mal gliene incolse, perché il M5S, nato al grido di nessuna alleanza mai, dopo il divorzio con la destra, si sposò immediatamente con la sinistra. E il nostro spirito subì un’altra metamorfosi. Il Bis-Conte diventò da un giorno all’altro progressista, europeista con lo stesso zelo con cui, fino a pochi giorni prima, era stato sovranista e populista. Mentre diventava la “guida ideale dell’intero centrosinistra” e “il miglior presidente del consiglio dell’ultimo secolo “, tra una conferenza stampa a reti unificate e l’altra e una ondata di Covid19 e l’altra, giunse stavolta Renzi a staccare la spina, passando il testimone a Mario Draghi. E il Bis-Conte diventò così Visconte dimezzato. Perso il governo, perso lo scettro del potere, avrebbe potuto decidere per un sereno ritorno al privato e alla professione. Ma un Grande timoniere di tale portata mai avrebbe potuto abbandonare al suo destino il Movimento che l’aveva lanciato alla ribalta. Anche qui la sua opera può essere ritenuta grandiosa. Proponendo infatti modifiche sostanziali alla organizzazione del M5S ha rischiato più volte la rottura definitiva col suo fondatore, Beppe Grillo, e ha decretato la fine del rapporto con l’erede dell’altro cofondatore, Casaleggio. E mentre i parlamentari fuggivano (a ogni passo, a ogni decisione, una scissione) ha infine strappato anche con colui che, sul campo, si era ritagliato il ruolo naturale di leader, Luigi Di Maio, proprio sui temi di politica estera e internazionale (mentre Di Maio è Ministro degli Esteri ed è in corso una guerra).
Però il nostro Duca Conte Giuseppe in Paladino ha finalmente trovato la quadra. Siamo alla crisi di governo. Draghi, dopo il voto di fiducia col M5S fuori dall’aula, si è recato da Mattarella per dimettersi. Il Presidente della Repubblica ha respinto le dimissioni e Draghi si presenterà nei prossimi giorni in Parlamento. Ma il nuovo ruolo di Conte appare chiaro. Dopo essere stati al governo per 4 anni con qualsiasi maggioranza possibile, in effetti andare dagli elettori, tra qualche mese, presentandosi come intransigenti arrabbiati dell’ultimo minuto, sarà senz’altro una mossa vincente. Come tutte le precedenti mosse del nostro sorridente, impomatato, pochette-munito, Duca Conte Giuseppe, d’altro canto. Di fatto ha rotto l’alleanza (qualcuno ha ancora il coraggio di definirla “strutturale”?) con il PD, perderà con tutta probabilità ulteriori pezzi (e tra i parlamentari e tra gli elettori), e proverà a recuperare, in extremis e in modo disperato, lo spirito del M5S pre-2018. O forse tornerà ancora più indietro nel tempo. E Conte Giuseppe subirà l’ultima metamorfosi: diventerà una magica sfera da infilare in lavatrice, invece dell’inquinante detersivo, in uno spettacolo teatrale di Beppe Grillo dei primi anni Duemila. Nessun Conte si crea, nessun Conte si distrugge, ogni Conte si trasforma.
Alessandro Porcelluzzi