E’ quasi buio, i lampioni illuminano la stradina mostrando l’ombra che si insinua tra l’uno e l’altro dei ciottoli lasciando a ciascuno la sua identità. Sto correndo dietro ai teppistelli che inseguono Cezanne, centrandolo con piccole pietre deridendolo. Inseguo i ragazzi, li supero, li scaccio e mi frappongo tra Cezanne e la vista della sua montagna, la “Sainte Victoire”. Cezanne si trascina sull’acciottolato e sembra parlare a se stesso; le labbra sono appena schiuse ma gli occhi sono guizzanti e le pupille viaggiano ancora negli occhi alla ricerca di un qualcosa, anche se è visibilmente stanco. Supero il timore di un rifiuto sgarbato e:
“Maestro, posso?”
Mi guarda più incuriosito che stizzito. Poi la mano si muove nel gesto di aprire una porta e capisco che posso parlare.
Maestro, l’ho cercata da tanto, se la sente di rispondere a qualche domanda?
Beato lei che possiede domande, io è tutta la vita che cerco risposte ad una domanda che non so fare!
Maestro, cosa intende?
Intendo dire che ho cercato l’impossibile e solo adesso, dopo avere consumato la vita sulle tele, forse giungerò alla meta tanto bramata!
La prego, può spiegarsi meglio?
Provi a pensare che un bel giorno arrivi sulla terra un alieno, un extraterrestre. Secondo lei, cosa vede? Immagini di persone e di cose assolutamente piatte. Non conoscendo il nostro mondo non sa che queste hanno un volume e una parte posteriore e quando tornerà sul suo pianeta dirà di avere incontrato figurine ritagliate nello spazio. Ebbene, davanti ad una tela noi ci comportiamo come un extraterrestre. Quando dipingiamo, possiamo solo raccontare ciò che vediamo di fronte, ma non quello che conosciamo, che sappiamo esserci, l’altra parte del visibile, quello che voi oggi chiamate il lato B .
E’ davvero interessante, mi sono sempre chiesta come fossero gli extraterrestri, ma non come loro potevano vedere noi.
Aspetti prima di entusiasmarsi, metta su una tavola tanti oggetti, i suoi occhi ne centreranno uno solo, quello che viene messo a fuoco dall’interesse, dal colore, dalla forma, creando un centro. Allontanandosi da quel centro, gli altri oggetti si annebbieranno. Ma sposti ancora lo sguardo e si creerà un altro centro e l’oggetto prima importante, si annebbierà a sua volta. E poi quel tavolo… possiamo vederlo dal basso, dall’alto, di lato… La verità è che noi possediamo il molteplice punto di vista, ma come realizzarlo sulla tela? E’ un assillo, un vero patimento tutto questo!
Maestro, adesso capisco perché si è allontanato da tutti. Del resto non era facile comprendere la sua pittura. Quel suo circondare le figure e gli oggetti di nero, un nero non presente in una mela, in una arancia, in una zuppiera bianca… e poi, il voler trasformare tutto in un cono, un cilindro, una sfera. Non potevano capire che stava cercando…
Quello che neanche io sapevo di cercare?
Il pubblico ama riconoscere ciò che vede, è come un bambino, provi a cambiare qualcosa nella favola che ascolta da sempre e sentirà le proteste!
Forse ha ragione lei, ma come si fa a spiegare che un dietro esiste, che un volume esiste, che ciò che è sulla tela può essere toccato? Che una montagna diventa azzurra quanto più ce ne allontaniamo, perché tra noi e lei c’è l’aria e questa aria si deve sentire, percepire, quasi toccare?
No, basta! Sono troppe le cose che mi tormentano, troppe! Ormai sono davvero stanco. Lascio ad altri il compito di finire quanto ho cominciato, se mai ho cominciato qualcosa!
Ho saputo che Einstein sta elaborando la teoria della relatività, e questa cosa mi attrae, e non so perché, ma la sento affine ai miei pensieri. Mi piacerebbe vivere ancora un po’ per vederne i risultati.
Maestro, perché non si ferma un attimo e non prova a riposare sotto al suo Grande Pino? Quel verde e quell’azzurro e quel tronco incurvato dal Mistral! Ritroverebbe la sua gioventù, forse farebbe pace con Zola. Adesso sento di poterle dire che non avrebbe sofferto tanto per la sua morte se non gli fosse ancora intimamente legato. Rammenta quanto gli scrisse in proposito? “[Ricordi il pino sulla riva dell’Arc con la grande chioma che si protende sopra l’abisso ai suoi piedi? Questo pino che con il suo fogliame ci riparava dalla calura del sole, oh possano gli dei preservarlo dall’ascia distruttrice del boscaiolo!]”
Accade qualcosa. Forse hanno abbattuto quel pino. All’improvviso scompare l’acciottolato, scompare la luce della sera che addolcisce i muri delle case e l’aria diventa leggera. Cezanne è nel mondo della verità adesso, forse avrà ricevuto la risposta alla grande domanda che non sapeva fare. E’ in compagnia delle sue Grandi Bagnanti, delle sue Nature morte, dei suoi Ritratti, all’ombra senza ombra della sua montagna e oggi finalmente lo sa che senza di lui, la storia dell’arte avrebbe avuto un’altra Storia.. Oggi, grazie a Cezanne, ai suoi inenarrabili tormenti, l ’arte sa come guardare dietro le cose, ma ancora non è in grado di farle toccare sulla tela. E se la risposta fosse davvero in un’altra dimensione?
Paul Cezanne nato a Aix-en-Provence in Francia, nel 1839, se ne è andato a 67 anni, ma non per sempre, il 22 ottobre 1906, nel luogo in cui era nato, lasciando al mondo dell’arte l’eredità delle sue domande.
Nadia Farina-
(Brano tratto dal mio libro “ Parole oltre il tempo” di Nadia Farina – MReditori)