Il voto di domenica scorsa merita molta più attenzione di quanta ne sia stata riservata in queste prime ore. Un voto doppio perché si è votato per cinque referendum, tutti aventi ad oggetto la giustizia, e per il rinnovo di moltissime amministrazioni locali. Sui referendum, o meglio: sul fallimento del raggiungimento del quorum, come replica di riflessioni già sviluppate in questi ultimi anni, è forse solo il caso di ribadire alcuni concetti. In primo luogo, mentre si abusa delle categorie della partecipazione, e si è anche giocato per un po’ con l’esaltazione della democrazia telematica, ogni volta che si vota per via referendaria si sente, eccome, la mancanza dei corpi intermedi. La fine dei partiti, il mutamento nella natura dei sindacati, non hanno solo depauperato la democrazia rappresentativa, ma hanno anche reso la strada dell’unico strumento di democrazia diretta di fatto una sentiero impossibile da percorrere. In secondo luogo si può e si deve smentire la nenia di referendum su temi troppo tecnici, difficili, o addirittura di scarso interesse per l’elettorato. La giustizia è forse il tema che più di ogni altro tocca la vita e la carne dei cittadini. Qualcosa di cui quasi tutti hanno fatto esperienza, direttamente o indirettamente. E su cui, ancora e infine, la classe politica, per quanto sgangherata sia, dovrebbe aver voglia e desiderio di offrire risposte e dunque orientare le scelte, anche di fronte a un Sì o un No.
Ma la stessa classe politica, e veniamo alle amministrative, vive in un progressivo declino di legittimazione. A ogni tornata aumenta il numero degli astenuti. Eppure in pochi sembrano riflettere su Sindaci suffragati dalla metà dei votanti, che a loro volta sono la metà degli aventi diritto. Insomma da un quarto dei cittadini maggiorenni.
Le formule alchemiche non tengono conto degli assenti, naturalmente. E quindi comunque occorre segnalare qualche tendenza. Ad esempio il fatto che l’elettorato non sembra tenere in grande considerazione l’opinione pubblica ufficiale. E in questo momento ad esempio premia spesso Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni, nonostante sia (o proprio perché è) indicata e additata come la regina dei sovranisti in salsa italiana. Ha rubato lo scettro alla Lega e a Salvini, persino nel profondo Nord, e quindi si prepara a trasferire il cambio di leadership sul piano politico nazionale. E, di nuovo, non si può non notare che Salvini non sia più al centro delle frecciate della stampa. Causa ed effetto in questo caso si confondono. Sull’altro fronte il PD consolida i propri risultati, torna a essere spesso primo partito, ma in preda a molti dilemmi. Perché l’alleanza “strutturale” col M5S sembra avere come effetto immediato la quasi scomparsa del M5S stesso (il 2% come media nazionale). Il civismo confonde assai le carte, rendendo difficile analizzare progressi o arretramenti elettorali (nella mia regione, la Puglia, in modo macroscopico). E infine si apre ancora a macchia di leopardo, ancora minoritario, ancora frammentato, ma in trend di crescita, un polo di centro-centro-sinistra (Italia viva, Azione, Più Europa e altri) che apertamente si propone come partner concorrente al PD rispetto al M5S (e a LeU o quel che ci sarà a sinistra) alle prossime politiche.
Speriamo ci siano ancora elettori, quando torneremo a votare per le politiche.