Improbabile intervista al signor Festival
Le luci sfolgoranti sono spente, accese invece solo quelle piccole, quelle che servono agli addetti alle pulizie per spazzare le note che sono cadute dagli spartiti. A vederle, non si distinguono nemmeno. Sono piccole, nere, e senza il supporto del pentagramma non si riconoscerebbero; il palco è deserto, solo un faro neanche tanto luminoso circonda una sedia su cui è seduto un signore con i capelli bianchi.
Si guarda intorno. A momenti sorride, a momenti si rabbuia. Mi avvicino timidamente, qualcuno generosamente mi ha fatto entrare nel teatro buio e silenzioso, gli avevo spiegato che dovevo intervistare il signor Festival. Mi ha guardato concedendomi un sorriso ironico, senza farsi tante domande. Chissà cosa ha pensato: Che fossi folle, che avevo delle ragioni imperscrutabili, che semplicemente desideravo delle risposte. Fatto sta che mi ha aperto la porticina sul retro. Ed eccomi qui. Ce l’ho davanti, il signor Festival.
E’ un signore pieno di rughe con un sorriso giovane, ha la postura di chi ancora non è stanco. Mi guarda e lo guardo.
Posso?
E lei chi è?
Un suo fan
Cosa vuole da me?
Sapere se è contento, se sente il passare degli anni su di sé, se é soddisfatto di come è andata. Mi pare che quest’anno l’abbiano degnamente festeggiata.
Certo che sento il passare degli anni, li ho visti tutti. Su questo palco sono passate generazioni, tutti i cambiamenti della società, dalla primaverile ingenuità dei primi anni, in cui ancora spiravano venti patriottici, da un Vola Colomba su San Giusto per una Trieste non ancora italiana, all’amore indiscusso per Tutte le mamme, allo sfrenato desiderio di comunità quando Jesabel era un canto liberatorio dalle convenzioni con i figli dei fiori, alla ribellione sociale con gli scioperi ad oltranza. Ricorda? Chi non lavora non fa l’amore, alla strisciante paura del terrorismo, di chi invocava la pace “ Mettete i fiori nei vostri cannoni”
E poi, quella voglia di internazionalità, con artisti immensi, basti citare Louis Armstrong, Whitnej Houston, Elton John, quando ancora non esisteva la globalità, l’uomo aveva la sua identità, e non aveva timore di far meditare sul Bisogna saper perdere… Certo che sento il passare del tempo.
Cosa mi dice dei temi trattati durante lo spettacolo di questa ultima edizione?
Mi sembra che li abbiano toccati tutti o quasi. Una volta, come le ho detto, erano nascosti nei testi delle canzoni, adesso sono espliciti e si sono ritagliati un momento tra le varie esibizioni. Disabilità, Diversità, Razzismo, Pandemia, Migrazione, Libertà, Nostalgia, Ricordi di straordinarie persone in primis, prima ancora che personaggi… per citarne alcuni. Certo, non tutti hanno avuto lo stesso ascolto, lo stesso emozionale riscontro, ma apprezzo la buona volontà. E non dimentichi che non sono mancati Trasgressione e Dissacrazione-
Prendo un esempio a caso? Achille Lauro. Penso che se non decide di cambiare di smettere di trasgredire per mostrare una indubbia capacità artistica, diventerà come la banana di Cattelan che deperisce in fretta, rimarrà solo la macchia sul muro.
Non ha pensato che è qualcosa che invita a meditare sul fruire del tempo che tutto consuma? Che forse, si può imparare qualcosa anche da una macchia. Cattivo gusto? ma forse, è quello che dicevamo prima: sono il condensato, la sintesi della società attuale.
A proposito di società, sa dirmi come mai gli artisti emergenti si sono presentati nella quasi totalità con nomi incomprensibili, difficili da scrivere, da leggere e ancor più da pronunciare.?
E’ una domanda alla quale non so rispondere, bisognerebbe chiedere agli psicologi, ai sociologi, e forse, dico forse, saprebbero rispondere. Personalmente io penso che è come se volessero rinunciare alle loro radici, con un bisogno disperato di essere riconosciuti solo per se stessi . E’ comunque, checché se ne dica, un rifiuto di ciò che le precedenti generazioni hanno lasciato in eredità, compreso il nome. Ma ripeto, è una mia idea e non so quanto condivisibile
E cosa mi dice di queste canzoni in cui la melodia, l’armonia, una frequente non intonazione sono andate a passeggio? E’ ancora questa la canzone italiana? Deve accettare il fatto che non esiste oggi, una canzone, un motivo che possa essere risuonato al mattino o canticchiato sotto la doccia. Alla fine il festival per sua natura dovrebbe essere una vetrina del mondo musicale italiano, quello che ci ha fatto conoscere in tutto il mondo!
E’ difficile risponderle. Ma adesso le faccio io una domanda: perché analisti dei costumi, esegeti dei testi, critici musicali, opinionisti di vario genere, giornalisti della carta stampata e on line si sono occupati di me, spesso senza conoscermi, senza mai essersi fermati ad ascoltare? Sono ancora tanti quelli che parlano di me senza conoscermi. Adesso sono stanco, mi ritiro in silenzioso riserbo. Nessuno parlerà più di me per un altro anno, ma ricordi che il tempo passa e torna, passa e torna. Non è forse, vero che negli anni cinquanta cantavano Aprite le finestre, negli anni sessanta Gianni Morandi intonava Ho chiuso le finestre per piangere in silenzio e in solitudine la fine di un amore, ed oggi lo stesso Gianni Morandi invita ad Aprire tutte le porte, a gettare le scorte, con la speranza che non serva mettere da parte perché il domani sarà bellissimo?
Un desiderio da esprimere?
Che sorrisi e lacrime siano sempre comunque sinceri e che bene o male, io possa rappresentare al di là di ogni retro pensiero, la verità di questa società nel libero pensiero anche quando non è sempre bene espresso. Quello che sarà dopo, vincitori e vinti, mi interessa meno.
Gli addetti alle pulizie se ne sono andati, le luci spente definitivamente. Lui, il signor Festival, sparito nel buio.
Nadia Farina