Gio. Nov 21st, 2024

Il codice deontologico del giornalista non esclude la possibilità che un professionista dell’informazione possa esprimere la propria opinione ma, se lo fa, deve esplicitarlo. Non è deontologico invece raccontare fatti parziali come se fossero imparziali o dare notizie stigmatizzate lasciando credere ai lettori che il dato oggettivo raccontato sia obiettivo, completo e non condizionato da pressioni di alcun genere.

A me dispiace doverlo affermare, ma oggi il giornalismo è per antonimia la pratica auspicata da Orwell. George Orwell sosteneva, infatti, che “se la libertà di stampa significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuol sentirsi dire.” Oggi invece la maggioranza dei giornalisti o scrivono quello che le persone vogliono sentirsi dire, o enfatizzano elementi che favoriscono quelle classi politiche disposte ad elargire fondi più cospicui a quel tipo di stampa o all’editoria in generale. Tale linea giornalistica però, non solo è poco deontologica, ma alimenta anche un altro fenomeno: quello dello sciacallaggio divulgativo che interpreta il ruolo di controinformazione.

Il popolo è ignorante (nel senso che ignora) ma non è scemo! Molte persone quindi, quando percepiscono che i professionisti dell’informazione sono in cattiva fede o divulgano dati oggettivi parziali, vanno alla ricerca di un ​approfondimento dei fatti; non tutti però hanno la capacità critica di cogliere l’affidabilità o l’inaffidabilità delle notizie trovate. Così in una giungla di informazioni vere, verosimili e inventate, il lettore intellettualmente più fragile finisce per essere sedotto da informatori cialtroni o da veri e propri venditori di fumo.

L’eccessivo finanziamento pubblico elargito ai Media non solo condiziona inevitabilmente il mestiere dei professionisti

che lavorano con le principali testate giornalistiche nazionali, ma incentiva anche il lettore insoddisfatto a documentarsi su Media non tradizionali. Una tendenza che mette seriamente a rischio il cittadino sprovveduto il quale, non di rado, finisce così per rimanere invischiato in una realtà parallela.

La ragione per cui l’Italia resta inchiodata al quarantunesimo posto nella classifica mondiale della libertà di Stampa, forse, non è solo dovuta alle minacce indotte delle organizzazioni mafiose, ma anche dal fatto che la maggioranza dei giornalisti si è ridotta a divulgare notizie preconfezionate, facendo sì che le loro mansioni siano più simili a quelle di un impiegato piuttosto che a quelle di un investigatore della notizia.

In una società sempre più verticistica, la professione del giornalismo sembra tra quelle che meno avvertono il disagio provocato da questa tanto preoccupante quanto inarrestabile tendenza. Pertanto la ricerca della verità, ​purtroppo, resta in salita. Ancora una volta nella storia, come è sistematicamente accaduto in passato, la realtà dei fatti che accadono oggi sarà rivelata (forse) solo alle future generazioni…

Antimo Pappadia

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