Il concetto di pulsione, benché formalizzato da Freud solo nel 1905 nei “tre saggi sulla teoria sessuale”, compare fin dai primi suoi scritti. Intorno al 1895, infatti egli individua due diversi tipi di “eccitamento” a cui l’organismo è sottoposto: gli eccitamenti esogeni, proveniente dall’esterno dell’organismo, a cui è possibile sottrarsi con la fuga e degli eccitamenti “endogeni“, che provengono all’interno dall’organismo. Nel “Progetto di una psicologia” (1895) sottolinea che, per potersi soddisfare gli eccitamenti endogeni, necessitano di quello che chiama “un aiuto esterno” e che questo intervento esterno incide in maniera fondamentale su tutto quello che ne sarà del soddisfacimento di tali bisogno. Freud sottolinea che a partire da tale intervento esterno, per il quale non esiste nell’essere umano una modalità univoca, la tensione endogena cosi come il suo soddisfacimento saranno legati da allora in poi a quelle che chiama “immagini mnestiche” e dalle “rappresentazioni”. La “pura” necessità fisiologica ne risulta così snaturata in quanto correlata fin da subito con la modalità particolare con cui l’altro avrà dato la sua interpretazione e avrà accompagnato o meno con particolari parole l’esperienza di soddisfacimento di quel bisogno. Le esperienze e le parole, le interpretazioni, le attese, il desiderio che accompagna, campi che saranno, da allora inscindibilmente legati. Fin da subito quindi, Freud mette in rilievo la non naturalità dei bisogni cosi come i soddisfacimenti umani, prendendo le distanze dalla nozione di istinto e costruendo le basi per quello che diventerà il concetto di pulsione. “La pulsione fra psichico e somatico”. Nei tre Saggi della teoria sessuale Freud riprende la nozione di pulsione sessuale e giunge a dare la prima definizione di questo concetto dicendo: per pulsione noi innanzitutto non possiamo intendere nient’altro che la rappresentazione psichica di una fonte di stimolo in continuo flusso, endosomatica . La pulsione cosi è uno dei concetti che stanno al limite tra lo psichico e il corporeo . Ciò che occorre sottolineare in questa definizione è che la pulsione consiste in una rappresentazione psichica: lo “stimolo endopsichico” di cui parla Freud non ha modo di farsi presente per quegli esseri presi nel linguaggio che noi siamo, se non attraverso le parole, le rappresentazioni, dunque gli elementi di linguaggio.
Montaggio pulsionale In “Pulsione e i loro destini” ( 1915) Freud riprende alcuni “termini fondamentali” usati in relazioni alle pulsioni che riassumo brevemente.
L’elemento motorio della pulsione è chiamato “spinta“. La pulsione esercita una spinta è questo il suo carattere essenziale;
la “meta” della pulsione è il soddisfacimento; più vie possono condurre a questa meta, e si possono dare ogni volta mete prossime o intermedie come soddisfacimenti parziali, tenendo conto che i soddisfacimenti sono sempre parziali;
l’oggetto della pulsione è l’elemento più variabile, e può maturare attraverso sostituzioni cioè attraverso operazioni che presuppongono un’equivalenza simbolica, di linguaggio: è infatti solo in un universo di linguaggio che due oggetti possono equivalersi;
la “fonte” della pulsione, cioè il processo somatico da cui essa deriverebbe, non è attingibile per noi. Freud lo dice cosi: “La pulsione non ci è nota nella vita psichica che attraverso le sue mete” (p.19).
E’ Jaques Lacan che, nel suo seminario del 1964 “I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi”, commentando questo testo di Freud, parla di “montaggio pulsionale“, per indicare il carattere non lineare e paradossale di questi aspetti della pulsione messi in luce da Freud: una spinta che non segue la logica del bisogno e del suo soddisfacimento, ma che permane costante, una meta – il soddisfacimento – che è sempre parziale, un oggetto che è completamente indifferente rispetto al soddisfarsi della pulsione stessa, e una fonte di cui nulla si può sapere.
Alessandro Nenna