Signurì… ‘e muorte!
Sott ‘a péttola che nce puorte?
E nce puorte ‘e cunfettiélle…
Signurì… ‘e murticiélle.
Fino a pochi decenni fa – ancora nel 1975- a Napoli esisteva/resisteva l’usanza che vedeva i bimbi napoletani che, muniti di “cascettelle”, salvadanai di legno, cartone o latta a forma di bara, nel giorno dei morti andavano per le strade a raccogliere soldi per i morticièlle, ma che in verità erano destinati all’acquisto di dolcetti e “cunfettielle”.
Oggi questa usanza purtroppo è stata sostituita dalla festa di Halloween che si celebra nella notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre, e l’antico rito del “o tavutiello” è caduto in disuso e destinato ad essere dai più dimenticato.
Il nome Hallowen, di origine celtica, pare trovi le sue radici nella celebrazione dello Samhain, una festa di fine estate. Secondo l’antico calendario celtico l’inizio del nuovo anno cadeva proprio il 31 ottobre. Hallowen è anche la festa delle zucche e durante lo Samhain venivano intagliate a scopo propiziatorio e per scacciare gli spiriti malvagi.
Oggi ha preso un’altra direzione ed è diventata, per imitazione, una ricorrenza che somiglia di più al carnevale. I ragazzi si travestono con abiti buffi e i più piccoli bussano alle porte per il loro “dolcetto scherzetto”, raccogliendo dolci e caramelle.
In verità tutto cambia per restare uguale. La ricorrenza, ormai da noi adottata, conserva un rito legato al ciclo delle stagioni, e a quello della vita e della morte e in qualche modo esorcizza le paure propiziandosi la simpatia dei defunti e scacciando via i demoni ostili.
Dalla notte dei tempi l’uomo ha sempre compiuto riti e ogni festa cela i suoi anche se ne siamo inconsapevoli.
A proposito di ricorrenze, non va dimenticato che in Sicilia c’è la famosa “Festa dei morti” che risale al X secolo e viene celebrata il 2 novembre. Nella notte tra l’1 e il 2, secondo l’usanza, le anime dei defunti portano doni tra cui scarpe nuove, riempite spesso di biscotti e torroni. Naturalmente ormai anche i siciliani festeggiano Halloween e i ragazzetti con maschere mostruose vanno in giro, come da copione, a raccogliere dolcetti.
Tornando alle nostre “ cascettelle” napoletane, ne troviamo traccia in molte pagine di scrittori famosi o in articoli di cronaca ormai datati.
In un celebre articolo sul Moscone de Il Giorno, del 1 novembre 1904, Matilde Serao
( 1856/ 1927), scrittrice e giornalista di importanti testate come Il Corriere di Roma, Il Mattino, Il Giorno, scriveva:
“Domani mattina, a Dio piacendo, saremo svegliati da un’orchestrina originale di strumenti non molto melodiosi, ma per compenso sufficientemente assordanti. Centomila scatolette di cartone, debitamente segnate col teschio tradizionale e le immancabili ossa incrociate, faranno risuonare
per tutte le vie di Napoli, per tutti i vicoli, per tutti i cortili, per i pianerottoli delle nostre scale, i soldini che vi sono piovuti dentro, attraverso la sottile fenditura, ed il rullo di questo strano tamburino ci accompagnerà da per tutto, e, dovunque, un bambino, due bambini, dieci bambini ci affronteranno, ci stringeranno in mezzo, ci sgusceranno tra i piedi, agitando la cascettella e strillando in tutti i toni: “Signurì, ‘e muorte!”.
Anche Giuseppe Marotta (1902/1963), scrittore, sceneggiatore e paroliere, nel suo “ L’oro di Napoli” del 1947, da cui è stato tratto l’omonimo film diretto da Vittorio De Sica, lo racconta con queste parole:
“Il 2 novembre i vicoli brulicano di bambini che sollecitano i passanti, in nome dei morti, a introdurre qualche spicciolo in certi loro bizzarri e funerei salvadanai di cartone fabbricati per la ricorrenza. Inutile dire che questo denaro non va poi speso in candele e fiori per i defunti, bensì in melagrane e dolci per gli stessi piccoli questuanti; e se finiamo per aderire ai loro perentori inviti è perché d’improvviso ci ricordiamo, trasalendo, che a Napoli muoiono troppi bambini”.[…]
“Ridenti e furiosi non sentono la morte che li chiama e li conta come la chioccia fa con i pulcini, ma sono pieni della necessaria dimestichezza con lei.”
Delle “cascettelle p’ ‘e muorte” parla anche Eduardo De Filippo (1900/1984), indimenticabile drammaturgo, regista, sceneggiatore e poeta, in Filumena Marturano:
“…ambo due e con tre figli da crescere, andai ad abitare al vicolo San Liborio, basso numero 80, e mi misi a vendere sciosciamosche, cascettelle p’’e muorte e cappielle ‘e Piererotta, ‘E sciosciamosche li fabbricavo io stessa e guadagnavo quel poco per portare avanti i miei figli […]”
Voglio terminare questo mio articolo, scritto in omaggio alla città di Napoli, così ricca di storia, di cultura ma soprattutto di umanità, con alcuni versi della poesia del poeta contemporaneo Antonio Ruggiero che predilige esprimersi in vernacolo napoletano. Col primo verso ho aperto il mio articolo:
E’ cchesta ‘a cantilena ca canticchiava
‘na chiorma ‘e guagliuncelle
‘mmienzz’a via
Ll’accumpagnava ‘o viento ca
Sischiava…
‘E duje ‘e nuvembre, che malincunìa
Ognuno ‘e nuje cu ‘a cascettella
‘mmano
Addò spiccava ‘a capuzzella ‘e
Morte,
jeve ggiranno nu quartiere sano,
fermanno ‘a ggente e ttuzzulianno ‘e
pporte
[…]
‘E duje ‘e nuvembre, penzo sempe a
ttanno,
a cchi cu mmeco jeve a ccanticchià
‘sta letanìa luntana, ca cu ll’anne,
‘a sente sulo chi vò’ scurdà.
Signurì…’e muorte!
Sott’’a pettola che nce puorte?
E nce puorte ‘e cunfettielle…
Signurì…’e murticielle.
Anna Bruna Gigliotti