Stamu un pocu all’umbra
Ca c’è troppu suli
Veni l’autunnu
Scura cchiù prestu
L’albiri perdunu i fogghi
E accumincia a scola
Da mari già si sentunu i riuturi (il rombo del vento)
E a mari già si sentunu i riuturi
Questi versi appartengono alla canzone “ Veni l’autunnu” di Franco Battiato, un catanese che amava la sua terra, particolarmente bella- Sicilia bedda mia, Sicilia bedda- nella stagione autunnale.
E il mio articolo vuole parlare di questa terra, così tragicamente colpita nella sua parte orientale dall’uragano Apollo che ha messo in ginocchio Catania, Siracusa, Augusta.
Abbiamo visto immagini terrificanti di strade, piazze, campagne allagate. Quei “riuturi” diventati tragici ululati, portatori di rovina.
Io però voglio ricordare Catania per la sua bellezza, la cultura, i suoi ventotto secoli di storia.
Un piccolo omaggio che vuol essere di buon auspicio.
Fondata dai greci nel 729 aC col nome di Katane, subì varie occupazioni: Bizantini, ostrogoti, di nuovo Bizantini, sotto cui rimase fino alla conquista musulmana del IX secolo. Nel 1060 fu occupata dai Normanni e fu amministrata dal vescovo benedettino Ansgerio sotto la cui amministrazione visse un periodo di splendore.
Poi fu la volta degli Svevi che si scontrarono con il Papato. Federico II per tenere a bada la popolazione edificò una fortezza: il castello d’Ursino. Dopo gli Svevi dominarono gli Angioini.
I moti del 1282, i vespri siciliani, misero fine al dominio francese, ma ne approfittò la Dinastia Aragonese. Catania divenne sede del parlamento e sede della dimora della famiglia reale.
La Sicilia divenne Regno della Corona e Catania fu la capitale. Re Alfonso permise che vi nascesse la più antica Università della Sicilia (1434).
Nell’800 Catania fu a capo di movimenti autonomisti e, nel 1891, dopo la costituzione del Regno d’Italia, fu sede di un movimento di ispirazione socialista e anarchico.
Nel 1906, De Amicis, visitò Catania e la trovò “splendidamente moderna”.
Purtroppo, nei secoli, catastrofi naturali -eruzioni vulcaniche, terremoti, ora cicloni- nonché mala amministrazione e connivenza tra politica e malavita organizzata, hanno prostrato questa magnifica città . Lo sdegno per le ferite inflitte continuamente alla sua terra lo troviamo nella canzone di Battiato “Povera Patria” :
Povera patria
Schiacciata dagli abusi del potere
Di gente infame, che non sa cos’è il pudore
Si credono potenti e gli va bene quello che fanno
E tutto gli appartiene
Tra i governanti
Quanti perfetti e inutili buffoni
Questo paese devastato dal dolore
Ma non vi danno un po’ di dispiacere
Quei corpi in terra senza più calore?
Non cambierà, non cambierà
No cambierà, forse cambierà
Dalla mia brevissima sintesi della sua storia si evince la molteplicità delle influenze che hanno plasmato l’anima di questa magnifica città.
Ogni suo luogo parla del suo percorso storico, delle genti che l’hanno abitata, a volte amandola, altre dominandola con arroganza. Questi segni restano impressi nel DNA del suo popolo: fiero, ribelle, generoso, anarchico, rassegnato, fatalista. Santo e bandito.
Per descriverlo uso le parole del principe Don Fabrizio di Salina, tratte dal romanzo
“Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa – il Principe riceve la visita del notabile piemontese Aimone Chevalley che propone a Don Fabrizio la nomina di senatore del Regno d’Italia-
[…] Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui noi abbiamo dato il ‘la’; noi siamo dei bianchi quanto lo è lei Chevalley, e quanto la regina d’Inghilterra; eppure da duemilacinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi: è colpa nostra. Ma siamo stanchi e svuotati lo stesso.“ […]
Cosí rispondo anche a lei, caro Chevalley: i Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti; la loro vanità è più forte della loro miseria; ogni intromissione di estranei sia per origine sia anche, se Siciliani, per indipendenza di spirito, sconvolge il loro vaneggiare di raggiunta compiutezza, rischia di turbare la loro compiaciuta attesa del nulla; calpestati da una diecina di popoli differenti, essi credono di avere un passato imperiale che dà loro diritto a funerali sontuosi.“
Visitando Catania, si entra nel suo cuore. Il suo centro storico è tutelato dall’UNESCO come patrimonio mondiale dell’Umanità. I mercati popolari, la superba bellezza inquietante dell’Etna, il mare limpido della sua costa, sono alcuni aspetti che la rendono unica. Poi c’è la sua architettura con le piazze piene di storia. Nella Piazza del Duomo col suo “o Liotru”, l’elefante di pietra, simbolo della Piazza, c’è la fontana dell’Amenano, il fiume sepolto dalla terribile colata lavica del 1669 e che ora scorre sotto Catania, visibile proprio sotto la fontana.
E poi c’è il Duomo di Sant’Agata, costruito sui resti di antiche terme, con la sua cappella che custodisce le reliquie. Di fronte all’altare c’è la tomba del Bellini, grande musicista e compositore di opere indimenticabili: Norma, La sonnambula, I puritani, Il pirata, rappresentate con successo al Teatro Vincenzo Bellini.
Eh sì, perché Catania ha dato tanti natali illustri : Luigi Capuana, Giovanni Verga. Molti personaggi dello spettacolo sono catanesi: Turi Ferro, Pippo Baudo, Jerry Calà, Rosario e Beppe Fiorello, Leo Gullotta.
Catanese d’adozione fu Stesicoro, antichissimo poeta greco del 630 a.C, che si cimentò nei generi più diversi, dall’epica alla poesia pastorale , non disdegnando quella erotica ( paidikà).
E a proposito di eros, come non citare Domenico Tempio, noto con il nome di Micio, nato a Catania nel 1750 e morto nel 1821. Irriverente e provocatorio, fece parte dell’Accademia dei Palladii. Le sue opere sono principalmente autobiografiche e si originano da rabbia, insoddisfazione personale e disagio sociale. Scrisse opere intrise di realismo, spaziando nei vari generi letterari, novelle, favole, poesie dialettali, ma dopo la sua morte fu ricordato solo per alcuni componimenti di carattere erotico.
Tra i più famosi:
La monica dispirata
[…] Minchia mia de stu miu cori,
‘nzaccarata minchia mia!
Stu me cori spinna e mori,
suffrirà senza di tia[…]
La futtuta all’inglisa
Nici, mi vinni un nolitu
Di futtiri all’inglisa;
già sugno infucatissimu:
guarda chi minchia tisa[…]
Molte sono le leggende metropolitane sorte intorno alla figura di questo poeta, molto amato dai catanesi, e una riguarda la statua di Nettuno, nella fontana sita all’interno del palazzo Bruca.
Si crede infatti che quella statua non rappresenti il dio, ma il Micio, per celebrarne le doti sessuali molto spiccate.
Un’altra leggenda riguarda il palazzo Mazza di Villallegra. Una targa recita: ”in questa casa visse Micio Tempio che dello spirito erotico si nutriva per fare poesia. O viaggiatore, alza lo sguardo e sorridi a colui che questi simboli ai posteri lasciò”
E infatti, sulla facciata domina il bellissimo balcone pieno di sculture di origine barocca, con statue che mimano atti di autoerotismo.
Infine, all’interno del Giardino Bellini, nel viale degli uomini illustri, si trova anche il busto marmoreo di Domenico Tempio. Una via col suo nome, lungo il porto di Catania, testimonia ulteriormente il legame della città al suo poeta irriverente e geniale.
Voglio terminare questo mio articolo, che si propone di dare un piccolo contributo alla straordinaria città siciliana che tanto sta soffrendo in questi giorni, con un verso della canzone di Battiato “ Mal d’Africa”. Uno spaccato di vita dell’artista, uno sguardo retrospettivo e intimo.
Un canto che incanta.
Dopo pranzo si andava a riposare
Cullati dalle zanzariere e dai rumori di cucina
Dalle finestre un po’ socchiuse spiragli contro il soffitto
E qualche cosa di astratto si impossessava di me
Sentivo parlare piano per non disturbare
Ed era come un mal d’Africa, mal d’Africa
[…]
Con le sedie seduti per la strada
Pantaloncini e canottiere, col caldo che faceva
Da una finestra di ringhiera mio padre si pettinava
L’odore di brillantina si impossessava di me
Piacere di stare insieme solo per criticare
Ed era come un mal d’Africa, mal d’Africa
Anna Bruna Gigliotti