Sab. Nov 23rd, 2024

Io tornerò 

Un giorno, uomo o donna, viandante,

dopo, quando non vivrò,

cercate qui, cercatemi

tra pietra e oceano,

alla luce burrascosa

della schiuma.

Qui cercate, cercatemi,

perché qui tornerò senza dire nulla,

senza voce, senza bocca, puro,

qui tornerò a essere il movimento

dell’acqua, del

suo cuore selvaggio,

starò qui, perso e ritrovato:

qui sarò forse pietra e silenzio.


 Questa poesia di Pablo Neruda è tratta da “ Memorial de Isla Negra, del 1963, e suona quasi profetica. Il poeta cileno, infatti, quasi presagendo il destino del suo Paese dopo la sua morte

– avvenuta nel 1973 poco dopo il golpe di Pinochet- si augura di fermarsi nella sua terra, ma in mutate spoglie : “Sarò forse pietra e silenzio”.

Il rapporto del Neruda col mare è sempre stato viscerale, intimo, assolutamente indissolubile.

Testimoni tangibili di ciò sono le sue tre case.

Case intese come porto sicuro. Navi ancorate a cui tornare, gremite di oggetti, talvolta bizzarri, non necessariamente preziosi, raccolti in ogni parte del mondo, ma che parlano delle sue peregrinazioni tra un esilio e un viaggio come ambasciatore del Cile.

Dal 1927 Neruda ebbe molti incarichi diplomatici che lo portarono a vivere in molti Paesi: Birmania, Sri Lanka, Singapore, Spagna. Al suo ritorno in Cile sentì l’esigenza di mettere radici.

Aveva trentatré anni e voleva dedicarsi alla scrittura. Cercava un rifugio e lo trovò a Sud di Valparaiso, sulla costa del Pacifico, con le sue rocce nere, e la chiamò Isla Negra.

Una casa progettata come una nave e che riempì di vele, zanne, navi in bottiglie, sirene, donne intagliate nel legno. Egli stesso amava sentirsi il capitano di quella abitazione   e spesso indossava una divisa. Qui soggiornò dal 1937 fino al 1973, ma a fasi alterne.

Infatti Isla Negra non era l’unico rifugio del Poeta.

La seconda casa fu La Sebastiana, costruita nel 1959 su una delle colline di Valparaiso.

Neruda, che trascorreva molto tempo a Santiago, voleva allontanarsi dal suo caos e chiese all’architetto Sebastian Collado di costruirgli  una casa che “sembrasse fluttuare nell’aria, ma fosse ben stabile sulla terra”.

Anche questa era zeppa di ricordi di vita di mare, di mappe e di souvenir, a testimonianza del suo grande amore per l’oceano e la navigazione, come esplorazione e conoscenza di terre e genti.

La terza fu la Chascona, a Santiago.

Il Neruda, la costruì per una donna dai capelli rossi e ricci, Matilda Urrutia, una fisioterapista che divenne la sua amante e in seguito la sua terza moglie.

 Questa abitazione, il cui nome rimandava ai capelli arruffati di Matilda,  fu edificata agli inizi degli anni ’50, in quartiere tranquillo di Santiago. Un’isola blu immersa nel verde.

 Tra i vari oggetti della casa, c’era anche il ritratto della Urrutia, dipinto da Diego Rivera, a testimonianza del  grande amore del Poeta verso la sua donna.

 In queste stanze, Matilda, legata al destino di Neruda fino alla fine dei suoi giorni, è stata Musa ispiratrice di molte  poesie dedicate a lei, tra cui Nuda:

 Nuda sei semplice come una delle tue mani,

liscia, terrestre, minima,  rotonda, trasparente,

hai linee di luna, strade di mela,

nuda sei sottile come il grano nudo

[…]

Nuda  sei piccola come una delle tue unghie

Curva, sottile, rosea finché nasce il giorno

E t’addentri nel sotterraneo del mondo.

[…]

Ripensando alle tre case, rifugi e luoghi dell’anima, del grande Poeta, Premio Nobel per la Letteratura nel 1971, possiamo dire che, accanto alla sua straordinaria produzione poetica, ce n’è un’altra di uguale bellezza e che ci svela il suo animo più intimo: La poesia immobiliare.

La Sebastiana, La Chascona, La Isla Negra – oggi diventati musei e luoghi di culto per i molteplici estimatori dell’Anima e della Poetica del grande cileno- sono esse stesse opere, scritte non con le parole, ma con gli oggetti, il legno, il cemento, i chiodi. Fari, vele, ancore. I suoi porti sicuri.

Secondo la sua volontà, espressa in Disposizioni, nel Canto General, il Poeta è stato sepolto a Isla Negra, a pochi passi dal mare. Insieme a lui  Matilda. Sulla tomba del Neruda un’ancora.

Compagni, seppellitemi a Isla Negra,
di fronte al mare che conosco,
a ogni superficie rugosa della pietra
e delle onde che i miei occhi perduti
non rivedranno più.

Ogni giorno d’oceano
mi portò nebbia o puri dirupi di turchese,
o semplice estensione, acqua rettilinea, invariabile,
quello che chiesi, lo spazio che divorò la mia fronte.

[…]

Scavate accanto a me la fossa di colei che amo,
e un giorno lasciate che mi faccia compagnia
anche nella terra
.

Anna Bruna Gigliotti

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