Il caso Morisi riempie le pagine dei giornali da giorni. Luca Morisi è stato, fino a pochi giorni fa, il responsabile della comunicazione di Matteo Salvini e della Lega di Matteo Salvini. Sopra ogni altra cosa, è stato il vero autore del successo mediatico e social della cosiddetta Bestia, la impressionante macchinina di propaganda che ha avuto nei profili social di Matteo Salvini il proprio principale strumento di azione. Morisi è indagato per una vicenda, una serata, un festino con risvolti penali legati a droga (detenzione e spaccio) e prostituzione. Come sempre, quando si tratta di vicende giudiziarie che riguardano personaggi legati alla politica, la storia di Morisi si presta a diverse letture. In primo luogo quella giudiziaria: qui, as usual, c’è chi condanna, a indagini appena cominciate, e chi assolve, ancora: a indagini appena cominciate, a seconda che l’indagato indossi la maglia della propria squadra o invece quella della squadra avversaria. L’uso politico della giustizia, anzi: l’abuso, è malcostume a cui dobbiamo invece continuare a opporre resistenza.
Un secondo livello di lettura è invece tutto politico. Pare esserci una qualche legge del contrappasso per cui a una posizione nell’arena politica particolarmente dura, violenta, estrema, corrisponde poi, da parte degli stessi attori/autori, un comportamento privato di segno opposto. Vale per il tema delle droghe, come per quello del lavoro nero, dell’immigrazione, della prostituzione e così via, all’infinito.
Infine, ma parzialmente collegato al punto precedente, il caso Morisi dovrebbe indurci a meditare su quale sia la direzione vera dei social. Proviamo a metterla così: Morisi è l’autore dell’impressionante balzo in avanti della Lega sotto Salvini. E questo balzo è stato causato, in notevole parte, dall’uso sapiente dei social. Che, diversamente dai media tradizionali, non funzionano in maniera verticale. I messaggi sui social funzionano quando diventano virali, quando un fiocco di neve diventa valanga. E spesso, anzi quasi sempre, specie nel caso della Bestia, non di neve stiamo parlando, ma di fango o peggiori, mefitiche sostanze. Questo effetto moltiplicatore è possibile solo con la collaborazione di chi legge, condivide, commenta. Per anni un profilo con il nome e il volto di Matteo Salvini ha mobilitato migliaia, milioni di utenti, usando l’artiglieria pesante contro questo o quell’avversario, aizzando e fomentando su temi disparati, costruendo casi mediatici, spesso sul nulla. Quel Matteo Salvini non era il Matteo Salvini in carne e ossa. Era Luca Morisi, che a sua volta però costruiva una identità social completamente diversa dalla propria identità (e convinzioni e abitudini) nel privato. Quindi quel falso Salvini era anche un falso Morisi. Un doppio falso modellato sul calco di ciò che un pubblico sempre più vasto desiderava. Uno specchio in cui riflettere un pezzo di società italiana che, commento dopo commento, like dopo like, condivisione dopo condivisione, diveniva sempre più radicale, sempre più estremista, sempre più arrabbiata. Questo vortice si ritorce oggi contro i suoi stessi autori. Ma la Nemesi sarebbe inutile, se però non ne cogliessimo il messaggio, l’insegnamento. Qualsiasi piazza, anche quella social, se non controllata diventa mostruosa. E in quella piazza mostruosa, a urlare, a farla funzionare secondo meccanismi sempre più perversi, ci siamo noi. Non sempre gli stessi, non sempre allo stesso modo e con la stessa intensità, certo. Ma la Bestia non è altro da noi.
Alessandro Porcelluzzi