Gio. Nov 21st, 2024

Chissà se era stato Proust con la sua Ricerca del tempo perduto a far diventare una moda la ricerca di sé,  fatto sta che per fare questo, molti erano partiti per un viaggio nel sé.

Chi andava in Tibet, chi sulle rive del Gange, chi si ritirava in un monastero, chi semplicemente viveva con tante domande, ma lo scopo era identico. Andare alla ricerca di se stessi.

Lei, aveva scelto le Alpi.

Aveva camminato per ore, si era inerpicata tra le rocce aggrappandosi agli arbusti, spesso scivolando e trattenendo con fatica i piedi sul primo appoggio che le desse sicurezza.

Non sapeva ancora se tutta quella fatica, le punture degli aghi del ginepro, i graffi del rododendro, o le sbucciature sulle ginocchia, ne valessero la pena, ma aveva deciso di proseguire per raggiungere la meta di cui tutti parlavano.

Ancora un piccolo sforzo e finalmente, la testa e le spalle poi, ebbero campo libero. Davanti a lei nulla che ostacolasse lo sguardo. Una visione in campo lungo le offrì una vasta distesa pianeggiante, uno sterminato prato verde, un cielo blu e uno chalet di legno. Null’altro. Una immagine di libertà,  di strana apertura verso il creato dopo una salita lunga e faticosa.

Forse le formiche che raggiungono il piano di un tavolo dopo essersi arrampicate sulla sua gamba, provano la stessa sensazione di immenso!

Aiutandosi con le braccia, sollevò il corpo, con un ultimo sforzo tirò su le gambe e finalmente fu in piedi.

Tolse le scarpe e la terra fu sua.

Si stese e strinse in un unico abbraccio fili d’erba e fiori di campo vedendoli come non li aveva visti mai. I colori, più colorati, le forme, più perfette, il profumo, più fragrante di quanto avesse mai odorato, la rugiada,  il miglior latte per il viso.

Fu così che la sua mente prese il volo, solleticò il pensiero e  tornò alla sua infanzia, di quando l’anima era un soffio incomprensibile, di quando non conosceva l’ansia del risveglio, di quando pensava di poter essere padrona della sua vita.

La fatica cancellata, i graffi sulle mani e sulle ginocchia  divenuti tatuaggi felici. Glielo avevano detto che arrivare lassù era come toccare se stessi nel profondo, ma non poteva immaginare tanto.

L’aria luminosa la circondò, gridò  buongiorno al mondo e intrecciò una corona di rosmarino sentendosi la regina di un nuovo sistema solare, percepiva  che una grande empatia l’aveva messa in contatto con i pensieri dell’universo intero.

Doveva essere uno di quei quattordici minuti di felicità di cui parlava un vecchio giapponese e di cui tanto tempo prima aveva letto.

Ogni uomo ha in dotazione degli istanti di felicità, un dono rarissimo, che entra indelebile  nella memoria di ciascuno e non lo lascia mai più;  e mai più lei avrebbe dimenticato quel cielo quel prato, quella meravigliosa fatica, quel sentirsi formica.

Per risorgere e andare alla ricerca di sé, non ci voleva poi tanto, bastava guardare con occhi felici e non soltanto vedere. All’improvviso le ritornò alla mente quella frase di Rumi, il poeta filosofo:

O uomo, viaggia da te stesso in te stesso. 

L’aveva scritta nel 1200 ma la sua saggezza era senza tempo…

Nadia Farina

(foto dell’Opera -Un lungo cammino- di Nadia farina)

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