La storia era finita in un turbinio di parole, in un maremoto di emozioni controverse e la stanchezza lo aveva travolto.
Si era rifugiato nella penombra della sua stanza, la dolce penombra, il caldo dolcissimo colore della quiete dove piccoli ronzii, testimoni della vita dell’aria, vibravano intorno.
La luce, tra il rosa ed il dorato, gli attraversava gli occhi, colpiva la mente ed il cuore con attimi in cui l’impossibile non è che una parola.
Il tempo senza definizioni.
Lo spazio circoscritto.
Di quella luce, di quel tempo, di quello spazio, era padrone assoluto. E il mondo era fuori, dietro la gelosia semichiusa, la tenda compagna della sua finestra, che lasciavano entrare la luce, non troppa, non poca. Quella che serve per stabilire i contorni, per chiarire le cose, per non confondere e non aggredire.
Amava la piccola grande luce della quiete, che disegnava sul muro i fantasmi e le ombre, che accoglieva fin da bambino le sue favole e sbiadiva i suoi dolori ma non i suoi sogni.
Fu un attimo e come un sasso piombò nel sonno.
La penombra lo cullò regalandogli un sogno.
Rivide l’acqua che andava e poi tornava incessantemente ormai da giorni. Leccava quel sasso non dandogli il tempo di asciugarsi. Non faceva tempo a scrollarsi di dosso l’ultima schiuma, che giù, un’altra ondata.
D’altra parte era nato sasso e tale sarebbe rimasto per questa e tante altre vite, poi chissà senza cambiare stato, una conchiglia lo avrebbe lentamente perforato e avrebbe così potuto, con un occhio senza pupilla, vedere e non sentire solo, l’immensità del mare.
Non gli piaceva quella vita senza sorprese e senza cambiamenti, l’immobilità lo costringeva a non pensare per non sentirsi prigioniero di una condizione naturale. Avrebbe voluto diventare un soffio con le ali, saltellare sulle onde, entrare nei bagliori della pineta sulla spiaggia, poggiarsi come piuma tra due visi innamorati.
E li avrebbe riconosciuti perché sapeva cosa fosse l’amore.
Una volta, tanto tempo prima, il mare gli aveva depositato accanto una levigata pietra bianca.
Si erano fatti compagnia, si erano scambiati pensieri, sogni e desideri e nei cuori di sasso entrò l’ amore.
Poi una mano predatrice aveva portato via la sua pietra bianca, senza che potessero dirsi addio.
Chissà dove era, la sua preziosa amica, forse fermava qualche carta su una scrivania elegante, forse giaceva su uno scaffale abbandonata.
E fu allora che la solitudine divenne prigionia in un tempo a se stesso sempre uguale fino a che un giorno, quel tempo decise di cambiare. Il cielo d’improvviso si oscurò come non si era oscurato mai, il mare confuse la sabbia con le onde, tutto si capovolse, la terra si cancellò.
Il sasso scivolò senza tregua nel roteare dell’onda che lo aveva catturato.
Conobbe altra spiaggia, altro fondo e sotto il cielo finalmente, sulla riva del mare la sua folle corsa si arrestò. Il colpo fu violento e il suo cuore per un momento si fermò.
Gli arrivarono vicini, i pensieri di una levigata pietra bianca che era stata lasciata cadere da una mano predatrice e trascurata.
– Sei tu?
– Sono io!
Chiamato da una voce lontana si svegliò, si alzò, spalancò la finestra e allargò le dita verso il mare, per catturare un raggio di sole, per inseguire il gabbiano, l’odore del mare e specchiarsi nel vento, ma con un cuore con le ali.
Quando rubiamo una pietra al mare, potrebbe succedere anche questo!
Nadia farina
(Nella foto un’opera di Nadia Farina)