Pillon impedisce sempre di discutere serenamente di qualsiasi argomento. Alla fine non si parla più del tema, ma di Pillon. Non so se ami l’iperbole, e fare notizia, o davvero esprima il proprio sentire. Fatto sta che polarizza il dibattito in modo inquietante e produce cortocircuiti pessimi.
A me, anche rispetto all’ultimo tema, piacerebbe discutere del merito.
La notizia è: L’Università di Bari ha deciso di ridurre le tasse alle studentesse che si iscrivono ad alcuni corsi di laurea. Per completezza di informazione occorre dire che nel complesso le iscritte alla Università di Bari sono di gran lunga più degli iscritti. 62% donne, 38 uomini. Più o meno per ogni studente maschio ci sono due studentesse femmine.
Ma, sostengono i promotori della iniziativa, bisogna incrementare il numero di donne che frequenta i corsi di laurea attualmente appannaggio quasi esclusivo degli uomini.
Sotto la lente finiscono le cosiddette STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics). Curiosamente tra i corsi di laurea a tasse ridotte finisce anche Storia, che ho qualche difficoltà a individuare come STEM.
A parte questa curiosa anomalia, il tema è intrigante. Innanzitutto potremmo chiederci: lo Stato o un ente pubblico cosa deve perseguire riguardo all’equilibrio di genere?
Se il tema fosse aumentare, in generale, il numero di laureate, ovviamente questo provvedimento non avrebbe senso. Anzi, sarebbe persino paradossale: incentivare, tramite uno sconto, la presenza di donne in una università già a composizione maggiormente femminile.
Allora occorre concentrarsi sui singoli corsi di laurea interessati. Perché un ente pubblico dovrebbe compiere discriminazioni positive (affirmative action come so dice in Globish) rivolte ad alcuni corsi di laurea e sulla base del genere? Se servono laureati in quella discipline, perché sono pochi, allora l’incentivo dovrebbe riguardare uomini e donne iscritti a quei corsi di laurea. Perché altrimenti questo atto diviene una discriminazione verso gli uomini iscritti a quel corso e verso le donne iscritte ad altri corsi.
E se poi il tema è l’equilibrio di genere, soprattutto in una università a maggioranza femminile, dovremmo aspettarci che nei corsi di laurea a maggioranza femminile i maschi siano incentivati alla iscrizione con lo stesso sconto di tasse. Cosa che ovviamente non avviene.
Potremmo anche chiederci se davvero sia un campo in cui lo Stato (con lo zuccherino dello sconto di tasse) debba mettere becco quello della scelta del percorso universitario. Che implica, occorre ricordarlo, anche una scelta rispetto alla professione futura. Dunque incitare alla iscrizione tramite riduzione tasse può persino inquinare la razionalità di una scelta determinante.
Infine: fino a qualche giorno fa chi parlava in termini di donna/uomo era accusato di essere un prodotto di scarto della società patriarcale, che il genere è un sentimento, una percezione, ognuno decide ciò che vuole sentirsi. Quando invece si parla di riduzione delle tasse universitarie, torniamo tutti binari?
Alessandro Porcelluzzi