Quest’anno si celebra il settecentesimo anniversario dalla morte di Dante Alighieri.
Le opere di Dante, come tante altre, richiedono diversi livelli di lettura: a quello letterale e poetico, diventa fondamentale affiancare il livello allegorico e simbolico, per comprenderne appieno il significato ed il valore.
La sua Commedia, definita soltanto in seguito “Divina” da Giovanni Boccaccio, per chi pratica la psicologia, rivela un’inesauribile ricchezza di simboli e significati. Attraverso un linguaggio metaforico, l’opera tratta una vastità di temi, in tutta la loro complessità, e il viaggio che compie Dante ha il sapore di un viaggio iniziatico, verso un autentico percorso di individuazione.
Dante sembra percorrere il corso dell’esistenza di ogni essere umano, illustrando in maniera poetica le tappe, e le imprese da affrontare per raggiungerle. I personaggi della sua opera rassomigliano ai vari aspetti della psiche; ciascuno dialoga a suo modo con le proprie parti inconsce, abbracciando la gran parte delle esperienze umane.
Nei suoi aspetti di narrazione simbolica la Divina Commedia racconta l’esperienza trasformativa di Dante, che corrisponde, nel percorso, all’esperienza trasformativa di ciascun essere umano. Dante lo chiama percorso di elevazione, Jung e la psicologia analitica lo chiamano percorso di individuazione. La Divina Commedia è, difatti, la descrizione più vicina al percorso di individuazione descritto da Jung. L’utilizzo del simbolo è un elemento che accomuna fortemente Jung e Dante, entrambi sono grandi sostenitori e appassionati frequentatori della vita simbolica ed esprimono la convinzione che soltanto quando un’esperienza arriva ad assumere un valore simbolico, può condurre ad una vera e propria percezione del senso di ciò che viene vissuto, e dello stare al mondo.
Dietro ad ogni narrazione della commedia si cela il percorso di un’anima in evoluzione, impegnata in un viaggio trasmutativo, che ha inizio dal visitare gli aspetti bui e travagliati del proprio inconscio, per giungere a situazioni, metaforicamente paradisiache, che conducono alla luce a alla leggerezza. L’Inferno è la dimensione in cui si rischia di essere inconsapevolmente trascinati dalle spinte interne, rappresenta quell’abisso in cui si è posseduti dalle cose senza neanche rendersene conto. Il Paradiso è un’esperienza assai difficile da raggiungere, nella sua piena completezza. Le sensazioni che si avvicinano alla percezione del paradiso sono quelle che proviamo ogni tanto, in quelle “esperienze di picco”, momenti di grazia in cui riusciamo a sentire i nostri stati d’animo più puri, ad avere le intuizioni più lucide e acute, i pensieri più limpidi, raggiungere le prestazioni migliori. Quelle cose che avvengono spontaneamente, quei vissuti rari e particolari che identifichiamo spesso con un senso di beatitudine, metaforicamente paradisiaca. Il reale raggiungimento del paradiso sta nel compimento del processo di individuazione, quando viene raggiunta la capacità di interazione tra l’inconscio e la coscienza, in cui la consapevolezza dell’Io si connette e si interfaccia con il mondo della psiche, entrando in contatto con l’enormità inconscia degli archetipi; quando lo stato di beatitudine, pur nella sua breve durata, riesce a produrre una riorganizzazione permanente dell’assetto interiore, che ci conduce a mantenere questa interazione tra le due parti, in cui l’Io ha imparato a raccordarsi con la dimensione del sé.
Il viaggio che si compie, nella poetica commedia di Dante, all’interno delle tre sfere soprannaturali e divine, è dunque l’equivalente di un percorso che conduce l’uomo dal processo primario, primitivo e senza regole, verso un mondo di coscienza e di autonomia. Il Paradiso è un’esperienza che inevitabilmente trascina con sé aspetti di sofferenza dell’Inferno, cui ha fatto seguito la fatica di attraversare il Purgatorio. Il Purgatorio che ci descrive Dante può essere paragonato al livello Preconscio della psiche, un livello intermedio di coscienza di Sé, in cui non è ancora avvenuta una completa e autentica rielaborazione psichica delle situazioni passate.
Anche se il nostro viaggio non è attraverso Inferno, Purgatorio e Paradiso, noi tutti dobbiamo percorrere i meandri della nostra interiorità, se vogliamo diradare la selva oscura e accedere alla luce. A tutti, ad un certo punto, può capitare di accorgersi di avere smarrito la diritta via, come quando ci si ferma a guardarsi dentro e si scopre di non sapere più chi siamo e in che direzione stiamo andando. Gli impegni, il lavoro, i tempi veloci della vita che corre, ci portano a volte a non essere più concentrati su noi stessi, a trascurarci fino ad arrivare ad un punto in cui non riusciamo più a riconoscerci. A volte lo specchio ci rimanda, metaforicamente, un’immagine che non sentiamo più di appartenerci. E’ forse quello il momento in cui cercare il nostro Virgilio e intraprendere coraggiosamente il viaggio per scrivere la nostra Divina Commedia.
Nunzia Manzo