Gio. Nov 21st, 2024

Che nome posso darti? “Amica” o forse “mamma”? O più semplicemente il tuo nome più comune, quello con cui sei più conosciuta, quello a causa del quale molte di noi perdono d’occhio la propria anima, la propria vita: ciao, Anoressia.

Sei entrata dentro di me, o meglio: hai deciso di voler essere ospitata nell’anima della tua prossima vittima, della tua ennesima conquista; ciò che più mi distrugge è avertelo permesso, essere diventata una persona “cedevole”, che si è lasciata ammaliare dalla tua falsa brillantezza, dalla tua ingannevole dolcezza.

Ricordo ancora la prima volta in cui hai sussurrato al mio orecchio, con la tua vocina ancora così debole e flebile rispetto ad adesso. Usavi un tono così umile, così affettuoso, quasi mi rinvigoriva, mi trasmetteva sicurezza.

Con il trascorrere dei giorni, delle settimane, sei diventata sempre più importante nella mia testa, hai iniziato ad importi, a farti rispettare, ad esigere che io rispettassi le tue regole, infondate aggiungerei. Hai preteso che io fossi fedele unicamente a te, che facessi delle tue parole la mia nuova vita, se è possibile definirla tale. È possibile definire questo subdolo e malato modo di affrontare gli eventi “vivere”? Io non credo proprio, amica mia, mi hai portata alla quasi pura sopravvivenza: arrivare a fine giornata e mettersi, dopo ore ed ore passate in piedi, a letto, a fissare un punto nel muro, a domandarsi se il giorno dopo sarà così nero come quello appena conclusosi, sospirando, capendo di aver sprecato altro tempo, ore, minuti, secondi preziosi. Consapevole di non essersi messa in discussione, oramai delusa e dannatamente rassegnata, profondamente arresa.

E tu, sì tu, è proprio questo che vuoi: la mia resa, il mio fallimento. Non permetti che io mi discosti per un attimo da te. Io ormai così fragile e priva di vitalità, io che mi specchio, che osservo attentamente le ossa sporgenti, che le cerco disperatamente con la speranza nascosta di riuscire a vederne altre ed altre ancora, come se fossero le uniche a infondermi sicurezza, a darmi forza.

Tu continui imperterrita a riflettere, davanti ai miei occhi, una figura distorta, una immagine non vera, che suscita in me un profondo senso di insoddisfazione, di inadeguatezza, quasi una sagoma ingombrante. Ecco, mi fai sentire un ingombro, un problema per chi mi circonda, futile e incapace, debole e vigliacca. Una persona nella quale non riesco oramai più a riconoscermi, a rivedermi. Mi pare quasi di essere telecomandata, senza alcuna facoltà d’azione, diritto di parola o di espressione. Gabriella, non so più dove tu sia, dove ti trovi, dove tu abbia deciso di rifugiarti, di nascondere le tue emozioni. Da quando non ci sei più, la vita non è la stessa. Mi hai lasciata sola e stanca, una stanchezza che consuma. A dirla tutta,  penso non ci siano parole per spiegare questo tipo di stanchezza. Una stanchezza che si impossessa di te, ti rapisce, decide di toglierti ogni forma di desiderio, di speranza, di serenità.

Gabriella

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