Gio. Nov 21st, 2024

Il souvenir, è un ricordo, che poi sia bello o brutto, lo acquistiamo perché sembra una spesa irrinunciabile.

Dall’intellettuale al sempliciotto, dall’aristocratico al borghese medio/alto, dal pellegrino all’ateo, nessuno resiste al souvenir. Il termine francese spiega che significa “oggetto del ricordo”, ma come se non bastasse, deriva dal termine latino subvenire– ovvero accorrere in aiuto. C’è da chiedersi in aiuto di cosa: In aiuto della memoria che concretizza in un oggetto una giornata diversa per cui speciale, una testimonianza condensata in una “cosa”, di una trasferta fuori dal proprio ambiente, di un momento in cui la mente si è aperta alla conoscenza di un luogo, della sua storia, delle sue tradizioni, delle sue leggende; poco importa se poi realmente non è così, ma diventa il simbolo di una accresciuta ricchezza culturale spesso, da mostrare agli altri, per suscitare ammirazione, a volte invidia, emulazione. Un oggetto a volte ricoperto di porporina segnatempo,  riproduzione minima di un monumento, di santini e madonne in campane o globi di vetro con la neve, di piastrelle con motti e proverbi di antica saggezza popolare, e potremmo continuare all’infinito per definirlo infine: Kitsch!

Il  kitsch  per eccellenza,  bene esplorato da Gillo Dorfless,  è dunque il testimone il di un viaggio. Una volta a casa, però, a meno che il souvenir non sia di alto prezzo e non sempre di alto pregio, lo abbandoniamo ad un triste destino, lo releghiamo nei cassetti  della confusione, quelli che si aprono per gettarvi alla rinfusa piccole cose che generalmente non sappiamo dove mettere; dal bottone che si è staccato e non attaccheremo mai, a quel trafiletto ritagliato dal giornale che sembra importantissimo conservare e non rileggeremo mai più,  dalla monetina raccolta sul pavimento, alla chiave di chissà che cosa apriva… e poi tappi e cianfrusaglie di ogni tipo. Del resto, Quante sono le cose che riempiono i nostri mobili, ma di cui non riusciamo a liberarci? Tante, forse,  troppe!

Eppure oggi, chiusi in zone gialle, arancioni, arancioni scuro, rosse, possiamo diventare viaggiatori del tempo, turisti in casa nostra, attraverso quegli oggetti che ci ricordano che una volta ci siamo seduti sui prati intorno alla Torre  di Pisa, che abbiamo visto gli scogli di Cefalù che sembrano giganti addormentati, che abbiamo girato tra i minuscoli monumenti della Minitalia di quella Bergamo che ha versato poi tante lacrime e sentirsi fortunati di esserci stati in un tempo ancora libero e felice…  Non avendo avuto  il coraggio di buttarli, possiamo andare alla ricerca di quegli oggetti che non avendo la stessa dignità di soprammobili preziosi, abbiamo nascosto in mezzo o dietro i libri, sulla mensola in cucina tra i barattoli delle spezie, tra zucchero e caffè.  Cerchiamoli oggi che non possiamo viaggiare. Aiutiamoci a vivere l’assenza di movimento. Trasformiamo la nostra casa in un luogo di ricerca, di ricerca vera, scopriremo momenti apparentemente dimenticati.  Alla vista del souvenir il ricordo si esalterà e diventerà vivo. E quindi, perché non attivare il verbo fare senza farsi prendere dalla malinconia, dalla nostalgia attraverso i variegati interessi, dalla geografia alla storia alla cucina o tanto altro, di un luogo dove siamo passati magari in modo superficiale e fugace? Perché non trasformare il Souvenir in un motore di ricerca, in un sasso gettato nello stagno? Magra consolazione per superare un triste momento, si obbietterà,  ma non è forse vero che i viaggi della mente sono i più preziosi? Non è forse vero che i viaggi del tempo aprono infiniti orizzonti?

Rivalutiamo il souvenir, la cui storia risale alla notte dei tempi, perché il ricordo appartiene all’uomo che già nelle caverne lascia testimonianza della necessità di conservare, perché ancora, quello che lo distingue dal resto del Creato, è la sua capacità di vivere le emozioni, anche attraverso una pietra raccolta con un particolare sentire e portata via con sé.

Nadia Farina

(Nella foto è una creazione di Nadia Farina)

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