In politica tutto ha un peso. Conta la decisione, conta il tempismo, contano le parole con cui si annuncia una decisione in un determinato momento.
Zingaretti che dice di vergognarsi del PD, cioè del partito di cui è segretario, perché (si) parla solo di poltrone, è uno dei momenti più bassi della storia della sinistra.
Quel gergo, quello delle “poltrone”, appartiene, o meglio apparteneva, a un altro e distante mondo. Il mondo della antipolitica, in cui le poltrone vengono usate come argomento per screditare l’avversario, solitamente quando governa.
Come se le poltrone non fossero anche e soprattutto responsabilità nella gestione della cosa pubblica, assegnate in ossequio alla rappresentanza elettorale: insomma ignorando, da politici, cosa sia la politica.
Zingaretti usa questa espressione contro la propria comunità e contro se stesso che fino a ieri è stato leader di quella comunità.
Fa dunque specie, per non dire orrore, che dalla sua comunità, e da quelle ad essa attigue, si levi un coro, per fortuna non unanime, di solidarietà. Quasi piaccia, in una manifestazione di masochismo, essere apostrofati come poltronari dal fino a ieri regista delle operazioni.
Zingaretti si dimette davvero? O si dimette perché gli si chieda di restare? Ma soprattutto si dimette perché?
Diciamo che con questo gergo è già pronto alla fusione a freddo (come si disse ai tempi di DS e Margherita per formare il PD) tra PD e M5S. L’uomo eletto in nome di mai alleanza con M5S, oggi è il faro (vabbè, faretto) di coloro che invocano la alleanza strutturale.
Tanto è vero che, raccontano le cronache, Zingaretti ha avvisato in anticipo Conte, ma non Draghi. Cioè ha avvertito il leader di un altro partito, sulla carta alleato, ma non il Presidente del Consiglio in carica che il suo partito sostiene. Anche qui: non è forma, ma sostanza.
Non so come andrà a finire, ma trattandosi del PD, sicuramente nel peggiore dei modi (e dei mondi) possibili.
L’ibridazione con il mondo antipolitico dei pentastellati è oramai tale che anche questo passaggio è letto, nel PD e nella sinistra, come frutto di un complotto. Renzi e/o Salvini e/o Mattarella e/o Draghi e/o le banche e/o i poteri forti hanno demolito la bellissima strategia di M5S-PD-LeU.
Pur di non riconoscere il fallimento, scontato, della strategia della Piccola coalizione sgangherata, pur di non riconoscere la follia di indicare come Cesare della coalizione Conte, un tizio fino a qualche mese fa sconosciuto e oggi a capo di un partito concorrente, pur di non interrogarsi mai sul senso vero della propria identità e della propria missione politica, inventano mostri, fantasmi, complotti.
E tirano in faccia a sé stessi poltrone. E si ringraziano a vicenda.
Alessandro Porcelluzzi
(Nella foto il Professore Alessandro Porcelluzzi )