Gio. Nov 21st, 2024

“O cara imago, or che tu riedi al giorno – Deh! Faccian teco i lieti dì ritorno”.

Con questi versi  Giulio Tartarino  Caprioli,  sindaco e deputato della Destra storica a Brescia, salutava la Vittoria alata, uno dei pochi bronzi di grandi dimensioni conservatosi sino ai giorni nostri, e trovata tra due muri del Capitolium, nel 1826.

Fu un evento per la città e la notizia del suo ritrovamento si diffuse dovunque, richiamando in seguito molti visitatori. A Brescia  la statua sfilò su un carro tra ali di folla festante, seguita  dalla banda. Un corteo di cittadini  l’accompagnò  fino all’ex convento di San Domenico.

I resti del tempio Capitolino, con alcuni ritratti in bronzo rinvenuti insieme alla Vittoria alata, portarono nel 1830 alla costituzione del Museo patrio.

Molti e illustri furono i suoi ammiratori . Lo stesso Napoleone III nel 1859 ne volle una copia che ora è esposta al Louvre. Ma tante Vittorie alate, sorelle minori, si trovano esposte  in molti Paesi:  Francia, Repubblica Ceca, Stati Uniti, Russia. A testimonianza dell’ammirazione di tutto il mondo.

Molti furono i poeti che ne cantarono la bellezza evocativa, come il Carducci che in “Odi Barbare” le dedicò l’ode “ Alla Vittoria”, o come Il D’Annunzio che scrisse di lei nelle “Laudi” e nel romanzo “Forse che sì forse che no”. Il Vate inoltre ne volle una copia, che oggi si trova al Vittoriale.

Come accade alle cose belle e preziose la nostra Nike deve essere anche protetta e lo è stata più volte nel tempo, per cui scompare e riappare come un miraggio che accresce la sua fascinazione.  Nel 1940 durante un allarme aereo fu trasferita in villa Fenaroli, a sud di Brescia, e perse alcuni pezzi, in verità non originali ma in gesso, ad integrazione di quelli mancanti : un elmo e uno scudo. Alla fine della guerra fu riportata a casa, nel Capitolium, e poi nel 1998 a Santa Giulia.

Nel tempo la Vittoria è stata oggetto di molti e diversi studi e interpretazioni. Si ipotizzò che in origine fosse la statua greca di Afrodite del III secolo a.C.,  giunta a Roma come bottino e successivamente modificata in Vittoria alata.

In verità molte sono anche le somiglianze con la Nike di Samotracia, del 190 a.C.,  mutilata però nelle braccia e senza testa, esposta a Parigi  e che ispirò a Maria Pawlikowska  questi versi:

 

Sei come la Nike di Samotracia a Parigi

O insonne amore:

anche ferito, con lo stesso ardore

tendi le braccia mutilate e voli

 

La posizione delle braccia della Nike bresciana e la torsione del corpo e del volto, hanno fatto pensare che reggesse uno specchio, poi sostituito con lo scudo.

La gamba però, sollevata, e il piede nella posizione di appoggio, fanno supporre che calpestasse  un elmo. Studi recenti pertanto portano a credere che si tratti di un’opera di età giulio-claudia e che fosse un dono di Vespasiano alla città di Brixia per i successi militari ottenuti.

In tempi recenti, nel luglio del 2018, la Vittoria alata è stata consegnata, per un restauro, nelle mani esperte degli specialisti  dell’Opificio delle pietre dure di Firenze e, come tutte le belle donne famose che ogni tanto hanno bisogno di un ritocchino che ne rinverdisca i passati splendori, ora è pronta per essere di nuovo ammirata.

Ed io naturalmente sono corsa ai suoi piedi, in estasi sotto le sue magnifiche ali.

L’allestimento è stato realizzato nella sala orientale del Capitolium  e la Vittoria alata poggia su un basamento antisismico per aumentarne la sicurezza.

Lì sono arrivata col cuore in gola dall’emozione e, dopo aver percorso il Santuario repubblicano con le meravigliose decorazioni degli affreschi e gli splendidi pavimenti in marmi policromi, eccomi davanti a lei, la divina.

E’ alta 195 cm, il busto leggermente volto a sinistra, le braccia tese  sembrano reggere ancora qualcosa, infatti le dita mantengono il gesto della presa.

Il volto serio e assorto  sembra intento ad osservare, o ad osservarsi  come si ebbe ad intendere forse a torto.

E’ vestita con un Kiton, cioè una tunica fermata sulle spalle da  fibule ormai perdute, e da un mantello ( himation) che avvolge i fianchi e  le gambe.

Il tessuto bronzeo  sembra fluttuarle intorno, con pieghe morbide e fascianti. Una parte del Kiton scivola sul braccio, lasciando scoperto un seno.

E’ bellissima. I capelli raccolti sono fermati da un nastro argentato.

Mi soffermo a guardare il piede sinistro, quello sollevato.  Le dita, ferme nell’atto di poggiare premendo sull’elmo di Marte, sono perfette.

E’ probabile che la Vittoria avesse in mano uno stilo e che stesse scrivendo il nome e le imprese

(res gestae) del vincitore sullo scudo, come del resto era in uso tra i romani per celebrare una vittoria e un vincitore.

Le giro intorno per ammirare le ali. Le piume bronzee con striature di rame  sono  curate in modo dettagliato: più sottili nelle terminazioni, più spesse in alto. Viene voglia di passarci su le dita per scoprirne la levità.

Non mi stanco mai di ammirarla, di girarci intorno, di fotografarla nei particolari.

Di sperare forse che un po’ avverta la mia presenza e che per un attimo giri su di me quello sguardo assorto e distante.

Vorrei terminare questo mio articolo con le prime tre strofe dell’ode del Carducci a lei dedicata, un po’ aulica, forse un po’ démodé,  ma si sa, lei è una signora d’altri tempi.

 

scuotesti, vergin divina, l’auspice
ala su gli elmi chini de i pèltasti,
poggiati il ginocchio a lo scudo,
aspettanti con l’aste protese?
4

o pur volasti davanti l’aquile,
davanti i flutti de’ marsi militi,
co ’l miro fulgor respingendo
gli annitrenti cavalli de i Parti?8

Raccolte or l’ali, sopra la galea
del vinto insisti fiera co ’l poplite,
qual nome di vittorïoso
capitano su ’l clipeo scrivendo

 

 

Anna Bruna Gigliotti

 

 

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